Yom Ha Shoah: Alberto Sed racconta la deportazione ad Auschwitz

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L’11 Aprile, in occasione di Yom Ha Shoah, nelle abitazioni romane si è svolto il progetto Zikaron ba salon: un’iniziativa nata in Israele nel 2010, in cui un sopravvissuto ai campi di sterminio racconta la sua testimonianza in un ambiente più confortevole, e può interagire con studenti e persone intorno a lui. In questa giornata sono stati aperti contemporaneamente altri cinque salotti in cui hanno testimoniato Sami Modiano, Piero Terracina, Edith Bruck e altri sopravvissuti.

Alberto Sed aveva 15 anni ed era già orfano di padre quando venne arrestato: fu portato all’orto botanico e picchiato dai tedeschi che volevano sapere dove si nascondessero i parenti di sua madre, che lui aveva visto solo poche volte. Fu deportato al campo di sterminio di Auschwitz con la madre e le tre sorelline, Angelica, Fatina ed Emma. Erano stati presi a Roma il 21 marzo 1944, furono caricati sul treno piombato che dal campo di raccolta di Fossoli portava ad Auschwitz il 16 maggio, nello stesso convoglio di Piero Terracina.

Da sinistra: Enrica Calò Sed, Angelica Sed, Emma Sed, Alberto Sed, Fatina Sed

Sua madre e la sorella minore Emma sono subito uccise nelle camere a gas. Alberto è immatricolato con il n. A-5491 ed inviato al blocco 29. Anche le sorelle Angelica e Fatina superano la selezione ed entrano nel campo. Durante la sua prigionia ha lavorato sulla Rampa: c’erano tre kommandi, secondo il racconto di Alberto: uno puliva i treni, uno prendeva le valigie e uno divideva gli uomini e le donne e selezionata chi doveva morire e chi sarebbe entrato a lavorare nel campo. Le persone deboli venivano mandate direttamente ai forni crematori. Alberto ha lavorato anche nei forni crematori, e conserva l’atroce immagine delle SS che  costringevano con le armi i prigionieri ebrei a lanciare in aria i bambini più piccoli appena arrivati con i convogli, prendevano la mira e sparavano loro in volo. «Amo immensamente i bambini, ma non sono più riuscito a prenderne uno in braccio. Se solo accenno al gesto, mi assale la paura che qualcuno mi gridi di lanciarlo». Racconta Alberto nel suo libro. Viene mandato via da Auschwitz e passa 6 mesi alle miniere di carbone (aveva 16 anni), ma non voleva lavorarci, quindi inizia a fare gli incontri di box per i tedeschi.

Dopo più di 10 mesi di prigionia, Alberto Sed fu liberato nell’aprile 1945 dagli americani. Appena le circostanze e le forze glielo consentono intraprese il viaggio di ritorno. A Roma Alberto ritrova la sorella Fatina, come lui sopravvissuta ad Auschwitz, sottoposta nel lager agli esperimenti del dottor Josef Mengele e apprende anche della morte della sorella Angelica avvenuta nel dicembre 1944.
Per anni Alberto non ha voluto raccontare la sua esperienza, nemmeno alla moglie Renata. Dopo un’intervista con il colonnello dei carabinieri Roberto Riccardi, che si è occupato di scrivere il  libro sulla sua esperienza, Alberto ha iniziato anche ad andare nelle scuole e interagire con gli studenti, diventando uno dei testimoni chiave della Shoà; la sua storia è rilevante per ricostruire l’esperienza dei bambini italiani deportati ad Auschwitz.

Giorgia Calò


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