6 Febbraio 20187min

Una modesta proposta

proposta

 

Leggendo sui vari canali social del mondo giovanile ebraico molte interessanti discussioni attorno al problema della rappresentatività, mi era venuta voglia di scrivere due righe portando quella che è stata anche la mia esperienza di quattro anni di rappresentanza per la nostra unione. Sono entrato in carica per la prima volta ormai cinque anni fa forse nel momento più brutto della storia della nuova Ugei. Non che non ci siano sempre stati alti e bassi nei livelli di partecipazione, alti e bassi dovuti anche sicuramente al fisiologico ricambio generazionale, ma quello di cinque anni fa fu sicuramente il più brutto perché segnato da discussioni spesso violente e dolorose. Dolorose perché arrivavano a toccare le scelte personali delle vite delle persone, dolorose perché estremamente divisive al nostro interno. Quella spaccatura portò nel giro di davvero meno di due anni a un calo vertiginoso della partecipazione. Da quella spaccatura si è ripartiti piano piano, soprattutto grazie al fatto che i protagonisti di quei dibattiti si sono largamente resi conto che la nuova situazione imponeva di concentrarsi su altre priorità e mettere da parte l’ascia di guerra.

Perché vi dico questo? Perché oggi vedendo discussioni e interventi che qualcuno potrebbe definire “rompiscatole”, io vedo comunque che si sta ricreando un clima “frizzante”di dibattito e che sta interessando persone che comunque fino a poco fa della rappresentanza giovanile ebraica non si interessavano. È evidente che questo non è un problema puramente dell’Ugei (dove comunque la cosa è ancora più macroscopica) ma tocca tutto l’ebraismo italiano e tutte le comunità. Un esempio? La Comunità ebraica di Roma, la comunità più grande dove alle ultime elezioni l’affluenza si è fermata poco sopra il 35%. Ed in quel 35% degli ebrei romani stanno dentro tutte “le anime e le correnti” della Comunità. Talvolta estremamente contrapposte. E percentuali e divisioni simili sono riscontrabili anche nelle altre medie e grandi Comunità. Quel simbolico 35% è quella parte “viva” delle nostre comunità, quella “che ci tiene” e al cui interno, volendo, potremmo anche fare un sondaggio su cosa pensano di quello che esce da queste colonne. Ed è anche vero che, questa volta veramente in particolare a Roma, la maggioranza di quel 35% potrebbe non condividerne talvolta i contenuti, talvolta la forma, talvolta l’opportunità. Ma, di nuovo generalizzando, la maggioranza degli iscritti alle nostre comunità (e discorso analogo vale in proporzione anche per i giovani) è invece composto da quel 65% di persone che seppur facendone parte sulla carta, fisicamente e moralmente ne risulta assente. Gente che spesso non solo non si interessa minimamente di quello di cui noi (giovani e grandi) come ebraismo, discutiamo, ma se proprio riuscissimo a interrogarli su, ad esempio, cosa pensino degli articoli di questa testata, sono convinto che spesso non ci vedrebbero tutto il male che ci vede parte di noi.

Questo giornale ha sempre voluto essere una piattaforma di dibattito per tutte le anime del nostro ebraismo e non unicamente un organo di diffusione dei comunicati del Consiglio (il che effettivamente imporrebbe dei vincoli dovuti alla rappresentatività del ruolo). Rappresentante è il Consiglio, non il giornale. E comunque, se anche si volesse che fosse un organo di rappresentanza, bisognerebbe sempre fare i conti con il famoso 65%. Con questo non dico di condividere tutto ciò che il direttore di questo giornale ha scritto in questi anni, anzi, quante discussioni ci siamo fatti, ma ci tengo a precisare che chi fa più rumore non è per forza la maggioranza (anche se pensa di esserlo). Le critiche al nostro Statuto, alla struttura del Congresso e delle elezioni sono importanti e vanno affrontate.

C’è chi dice che è ingiusto doversi prendere dei giorni di ferie e pagarsi un biglietto ferroviario e un albergo per poter esprimere il proprio pensiero. Eppure uno degli obiettivi principali dell’Ugei deve essere proprio quello di far muovere i ragazzi. Far sì che i ragazzi di tutta Italia si possano incontrare anche venendo da città lontane, in modo tale che tutti ci si renda conto di qual è la realtà ebraica al di fuori del proprio Tempio. Perché ricordiamoci non c’è solo la politica, ma c’è anche il lato aggregativo e centinaia e centinaia di famiglie ebraiche sono nate proprio grazie all’Ugei e alla precedente Fgei.

Quali soluzioni? La mia modestissima proposta e di tornare al modello del Congresso a delegati. In cui a Roma si eleggono in una assemblea locale, ad esempio, 8 delegati, a Milano 5, a Torino e Firenze 2 a testa e 2 in rappresentanza di tutte le altre. Ogni delegato poi, in sede di elezione di un consiglio da 7 propone un massimo di 3 nomi tra i delegati. Insomma, rendere il Congresso un atto conclusivo di una discussione a base locale garantendo così la possibilità di una partecipazione più ampia dei ragazzi a livello decisionale, sperando che si riproponga poi negli eventi nazionali. È una proposta che cerca di unire criteri di proporzionalità territoriale e di garanzia di una dovuta rappresentanza anche degli ebrei delle comunità minori. Tutto si può migliorare, ma almeno discutiamone.

Filippo Tedeschi, torinese


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L’Unione Giovani Ebrei d’Italia coordina ed unisce le associazioni giovanili ebraiche ed i giovani ebrei che ad essa aderiscono.


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