Un buco nero a Haifa?

technion

di Ruben Forti

 

Sebbene siano oggetto di studio da diversi anni, i buchi neri sono sempre stati molto difficili da analizzare in ambito astronomico. Ma di recente, grazie a un team di ricercatori israeliani del Technion di Haifa, guidati da Jeff Steinhauer, certe previsioni del celebre fisico Stephen Hawking sui buchi neri stanno, a poco a poco, iniziando ad essere osservate e verificate.

Partiamo dall’inizio: un buco nero è un oggetto cosmico di dimensioni massicce, approssimativamente di forma sferica, con un’importante caratteristica: nessun tipo di informazione all’interno della sua superficie (“orizzonte degli eventi”) può uscirne; responsabile di questo fenomeno è l’intenso campo gravitazionale all’interno del buco nero.

Il fatto che nulla di proveniente dal buco nero possa raggiungerci rende complicata l’osservazione e lo studio di tali oggetti; solo recentemente siamo stati in grado di osservare e “fotografare” uno di essi. Certe caratteristiche dei buchi neri possono però essere studiate in laboratorio, sfruttando delle analogie molto utili. E qui entrano in scena gli studiosi del Technion.

Il loro lavoro ha come obiettivo l’analisi della cosiddetta “radiazione di Hawking”: secondo lo sviluppo teorico del fisico britannico, i buchi neri si comportano come dei normali corpi caldi, emettendo quindi radiazioni elettromagnetiche. Pensiamo ora alle onde, elettromagnetiche o sonore che siano, come a delle particelle: il processo pensato da Hawking è simile al caso in cui, spontaneamente, si creano in prossimità dell’orizzonte degli eventi delle coppie di particelle-antiparticelle: una viene assorbita dal buco nero, l’altra arriva fino a noi. Quando un’antiparticella viene assorbita dal buco nero, si annichilisce con la materia ordinaria al suo interno, generando energia. Dal punto di vista di un osservatore sulla Terra, è come se il buco nero avesse espulso la particella di materia ordinaria, riducendone la massa.

Non potendo ricreare un buco nero in miniatura, i ricercatori del Technion hanno perfezionato un sistema che ne simulasse alcune caratteristiche:  tramite il raffreddamento di certi tipi di materiale (Rubidio, in questo caso), si raggiunge un particolare stato della materia, il “condensato di Bose-Einstein”, nel quale gli atomi si comportano in modo particolare, fluendo in modo ordinato e controllabile:  è stato così possibile creare una regione di spazio ben definita, con un suo orizzonte degli eventi, che non lasciasse sfuggire nessun “impulso di suono”, proprio come un buco nero cosmico non lascia sfuggire neanche la luce.

Ciò che hanno osservato i ricercatori sono stati proprio dei fononi, dei quanti di suono, provenienti apparentemente dall’orizzonte degli eventi. Tale emissione soddisfa una caratteristica importante nella teoria della radiazione di Hawking, la stazionarietà, cioè che tale radiazione non cambi nel tempo. Una proprietà che non era mai stata osservata.

Lo studio dei ricercatori israeliani (pubblicato sulla rivista Nature a gennaio) si può quindi ritenere un successo, nonché un altro importante tassello di conoscenza nel puzzle dei misteri del nostro universo.  Tutto ciò è ancora più incredibile se si considera il fatto che i buchi neri furono precedentemente teorizzati da Einstein nel 1916, semplicemente tramite calcoli matematici, mentre il primo buco nero fu avvistato solo nel 1971. Hawking descrisse la termodinamica dei buchi neri con incredibile precisione nel 1974, senza poter neanche studiarla direttamente. E adesso, ben 105 anni dopo la prima ipotesi di Einstein, i ricercatori israeliani dimostrato al mondo intero quanto questi due fisici siano stati geniali, e quanto la fisica sia uno strumento spaventosamente potente per studiare l’universo in cui viviamo.


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