Tra Occidente ed Oriente: la centralità diplomatica dello Stato d’Israele
Naftali Bennett è stato il primo leader mondiale a recarsi al Cremlino per tentare una mediazione alla guerra. Un’iniziativa, quella del Premier israeliano, simbolo dell’enorme prestigio che Israele ha acquisito negli anni in ambito internazionale. La notizia ha fatto il giro del mondo, soprattutto perché Bennet ha deciso intraprendere la missione diplomatica proprio nel sacro giorno dello Shabbat, che religiosamente implica al popolo ebraico la cessazione di tutte le opere lavorative. Un precetto a cui è possibile venire meno solo in un caso: la salvaguardia della vita umana quando questa è in pericolo, in ebraico “Pikuach Nefesh”.
Se Israele ha potuto esporsi così tanto, però, è in vista di una serie di fattori che spaziano dalla politica interna a quella estera. In primis, lo Stato ebraico gode di rilevante affinità culturale con entrambe le realtà dell’Est, poiché costituito da una sostanziale componente russofona che conta un milione di cittadini. Al contempo, è anche l’alleato storico degli Stati Uniti, con cui i rapporti, sebben altalenanti, non hanno mai subìto un tramonto definitivo.
Tutte le carte in regola per un mediatore ideale, ma c’è di più. Quando Obama decise il ritiro delle truppe dalla guerra in Siria, spianò conseguentemente la strada all’ingresso dei russi sul territorio siriano nel 2013. Un territorio, adiacente ad Israele, dove già operavano Iran ed Hezbollah. Proprio per impedire il crescendo di queste due minacce terroristiche, Israele ha dovuto inevitabilmente stringere rapporti con Putin.
Questo spiega la condotta assunta da Israele a livello internazionale: si è schierata a favore dell’Ucraina senza urtare i rapporti col Cremlino. Ha infatti aderito alla condanna dell’Assemblea Generale ONU contro la Russia, mentre al contempo si è astenuta sia dall’invio di armi in Ucraina che dalla mozione americana al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un incidente diplomatico con i russi potrebbe stravolgere gli assetti del Medio Oriente, impedire ad Israele di difendersi in Siria e bruciare la possibilità di mediazione in Ucraina. Nonostante ciò, Israele ha comunque deciso di schierarsi dalla “parte giusta della storia” – come ha detto il ministro degli esteri Yair Lapid – condannando l’attacco, fornendo fondi finanziari a livello internazionale ed inviando ingenti aiuti umanitari alle popolazioni in fuga. È ovvio, però, che le sue azioni devono essere intelligentemente ponderate, poiché è l’unico paese circondato da nemici.
Il secondo fronte in cui si vede impegnato Bennett è quello austriaco, dove a Vienna sono in corso le trattative sul nucleare iraniano discusse nell’ambito del gruppo dei Cinque più Uno, costituito dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Si rischia di consentire allo stato degli Ayatollah l’arricchimento eccessivo di Uranio, che sfocerebbe nella fabbricazione di armi nucleari usate per minacciare – come da sempre promesso – la distruzione di Israele.
Nonostante l’Iran possa accettare le limitazioni imposte dall’Agenzia internazionale per l’energia atomica, il passato ci racconta una storia diversa. Era l’aprile 2018 quando Netanyahu rivelò che Mossad, il servizio segreto israeliano, aveva scovato un’enorme quantità di informazioni che testimoniavano in maniera inconfutabile come l’Iran, nonostante i patti stipulati, stesse portando avanti la produzione nucleare per scopi militari. Il rischio che possa farlo nuovamente è alto, ma Israele ha chiarito già che in Iran “ha occhi, orecchie e molto altro ancora”.
In conclusione, è questo l’insieme delle condizioni che ha permesso ad Israele di tentare una mediazione in Ucraina, ma è noto che la diplomazia produca lentamente i propri effetti, in contrasto invece con l’urgente necessità di un cessare il fuoco permanente. In settimana anche la Cina, che da questa guerra potrebbe veder ledere la Nuova via della seta, e la Turchia si sono proposte come mediatori del conflitto. Non è dato sapere le evoluzioni, ma questo conflitto ha diviso il mondo in due grandi blocchi come solo la Guerra fredda aveva saputo fare.