1 Ottobre 20203min

Succot: il festival dell’insicurezza

sacks

di Rabbi Lord Jonathan Sacks

Traduzione: Sharon Zarfati

 

Succot è il festival dell’insicurezza. È il sincero riconoscimento che non c’è vita senza rischio, eppure possiamo affrontare il futuro senza paura quando sappiamo di non essere soli. Dio è con noi, nella pioggia che porta benedizioni sulla terra, nell’amore che ha portato l’universo e noi all’essere e nella resilienza dello spirito che ha permesso a un popolo piccolo e vulnerabile di sopravvivere ai più grandi imperi che il mondo abbia mai conosciuto.

Succot ci ricorda che la gloria di Dio era presente nel piccolo Tabernacolo portatile che Mosè e gli israeliti costruirono nel deserto in modo ancora più evidente che nel Tempio di Salomone con tutta la sua grandezza. Un tempio può essere distrutto. Ma una succah, rotta, può essere ricostruita domani. La sicurezza non è qualcosa che possiamo ottenere fisicamente, ma è qualcosa che possiamo acquisire mentalmente, psicologicamente, spiritualmente. Tutto ciò di cui ha bisogno è il coraggio e la volontà di sedersi sotto l’ombra delle ali protettrici di Dio.

Più di molti altri, sia in terra d’Israele che altrove, gli ebrei hanno conosciuto tutta la forza dell’insicurezza. Eppure, con il suo genio per l’imprevisto e la sua capacità di salvare la speranza dalla tragedia, l’ebraismo ha dichiarato questa festa dell’insicurezza come z’man simchateinu, la stagione della nostra gioia. Quindi la succah, simbolo per eccellenza della vulnerabilità, si rivela essere l’incarnazione della fede, la fede di un popolo che quaranta secoli fa ha intrapreso un viaggio a rischio attraverso un deserto di spazio e tempo, senza più protezione dell’esistenza riparatrice della presenza divina.

Per sapere che la vita è piena di rischio eppure affermarla, per sentire la piena insicurezza della situazione umana eppure gioire: questa, per me, è l’essenza della fede e il cuore di Succot. L’ebraismo non è una confortante illusione che tutto vada bene in questo mondo oscuro. È invece il coraggio di festeggiare in mezzo all’incertezza, e di gioire anche nel rifugio transitorio della Succah, il simbolo ebraico della casa.

 


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