Sport e boicottaggi, la dura vita degli atleti d’Israele
HaTikwa (L.Clementi) – Piccolo, con soli 70 anni di Storia sulle spalle, lo Stato d’Israele si sta rivelando un’avanguardia in ogni settore sul quale sceglie di investire. Un esempio è la sempre crescente importanza data allo sport. Gli israeliani giocano, altroché se giocano. Saremo pure in medio-oriente, ma la loro concezione sportiva non ha nulla a che vedere con quella dei paesi confinanti. Per la pallacanestro si guardano gli States, per il calcio l’Europa, per gli sport da combattimento il Sud America e l’Oriente (anche se dentro casa c’è già un patrimonio ereditario invidiabile), poi una miriade di altre discipline praticate dalla variegata popolazione. Nel frattempo ci si evolve, e i risultati si vedono tutti.
Per quanto riguarda il basket, sport nazionale, nel 2014 il Maccabi Tel Aviv ha vinto la sua sesta Eurolega (o Coppa dei Campioni), e la Ligat Ha’Al è ricca di campioni, uno su tutti Amar’e Stoudemire, che ha dominato l’NBA con i Suns e i Knicks, ed ora gioca per l’Hapoel Yerushalaim. Nel calcio le squadre israeliane contano cinque partecipazioni alla fase a gironi della Champions League, e nel 2001/02 l’Hapoel Tel Aviv è arrivata ai quarti della Coppa Uefa, strapazzando squadre come Chelsea, Parma e Lokomotiv Mosca. Per quanto riguarda gli sport da combattimento, Israele eccelle nel Judo. L’ultima gioia risale al 28 ottobre 2018, quando Sagi Muki ha vinto la medaglia d’oro nel Grande Slam di Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti. E sì, è stata suonata l’Hatikva’, l’inno nazionale. In questa situazione idilliaca di progresso, i problemi sportivi israeliani non provengono di certo dall’interno, ma dall’esterno. Il continuo boicottaggio da parte di alcune Nazioni e di alcuni atleti spesso impedisce il compiuto e corretto svolgimento degli eventi sportivi. Il lettore più acuto avrà notato con curiosità il fatto che Israele abbia partecipato e partecipi a competizioni europee, pur non avendo geograficamente proprio nulla di europeo. Questo perché è stata sportivamente cacciata dal proprio continente di riferimento, l’Asia, grazie alla “Associazione araba per il boicottaggio d’Israele’’, al BDS e a risoluzioni come quella del 1974 organizzata dal Kuwait, che ha portato alla sua espulsione dall’AFC, l’equivalente asiatico della UEFA.
E’ un sabotaggio continuo e mirato, che va dalla non stretta di mano data alle Olimpiadi di Rio 2016 al Judoka Or Sasson da parte di Islam El Shehaby, atleta egiziano con il quale doveva competere, passando per l’oscurare la bandiera israeliana nelle live streaming al momento della griglia di partenza, come accaduto ai Mondiali di Nuoto nel 2013 in Qatar ad Amit Ivry, fino ad arrivare alle campagne BDS contro il Giro d’Italia 2018, che ha fatto tappa in Israele.
Nulla è lasciato al caso, come se competere con un atleta israeliano, o stringergli la mano, o menzionare il suo nome accanto alla bandiera della Nazione di provenienza sia un’affermazione di esistenza di qualcosa che a parer loro non dovrebbe esistere. Questo crea problemi enormi a livello logistico per l’organizzazione di grandi eventi in loco. Viene alla memoria il caso calcistico dell’Argentina: i sudamericani avrebbero dovuto giocare lo scorso giugno una partita preparatoria al Mondiale in Russia proprio contro Israele, allo Stadio Teddy Kollek di Gerusalemme. Prevista per Haifa, la partita è stata spostata dal Governo locale forse per un atto politico di autodeterminazione: far giocare Messi, uno dei giocatori più forti della storia del calcio, a Gerusalemme sarebbe stato un atto di forte legittimazione. La Federcalcio Palestinese lo ha reputato inaccettabile. I giocatori argentini hanno ricevuto pressioni e minacce, ufficiali e non, e l’amichevole è stata annullata. Il punto è che questo atteggiamento così antisportivo, promosso da Nazioni perlopiù arabe, va a danneggiare non soltanto gli atleti israeliani. La propaganda anti-sionista ha portato a definire lo Stato d’Israele ‘’Stato di apartheid’’, all’interno del quale gli ebrei godono di una condizione privilegiata. Nella realtà dei fatti in questa Nazionale, in qualunque sport, i membri di tutte le religioni competono fianco a fianco. Si ricordano grandi sportivi arabo-israeliani che hanno dato il loro contributo: ad esempio nel calcio Abbas Suan, Walid Badir, e nel pugilato Johar Abu Lashin, campione IBO di pesi welter. Questo fa riflettere, come fa altrettanto riflettere l’indiscrezione del Jerusalem Post, secondo la quale la stella del Liverpool, Mohamed Salah, sarebbe disposto a lasciare la squadra qualora questa decida di acquistare Moanes Dabbur, prolifico attaccante arabo-israeliano del Salisburgo. La smentita è arrivata, ma gli estremi per il dubbio ci sono: non sarebbe la prima volta che il giocatore si presta ad azioni di questo tipo. In ogni caso, la difficile storia sportiva dello Stato d’Israele non termina di certo qui. Il progetto di rendersi competitivi in ogni disciplina prosegue.
E per la cronaca: ve li ricordate i sopracitati Eli Sasson della mano non stretta a Rio e Amit Ivry della bandiera oscurata ai Mondiali di Nuoto in Qatar? Bene: medaglie di bronzo.‘’Dalla dura cervice’’, dicono…
Luca Clementi, laureando in giurisprudenza, ha lavorato nel settore dell’informazione all’interno dell’ufficio stampa della Comunità Ebraica di Roma. È inoltre attore di teatro, con più di 15 spettacoli all’attivo.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.