Storia di Sara Copio Sullam, ebrea erudita a Venezia

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Se l’emancipazione femminile non si è realizzata nel corso dei secoli -pensano alcuni- parte della responsabilità ricade anche sulle donne, colpevoli di non aver partecipato ai dibattitti culturali, politici e filosofici, alle polemiche religiose, artistiche e letterarie a loro coeve. Si può cadere facilmente nell’infido tranello che recita: “Quante filosofe conosci? E quante scrittrici? E registe?”, che mira proprio a mettere in luce un’assenza, una scomparsa delle donne dalla storia del pensiero, delle lettere, dell’arte etc… Insomma, la storia del progresso l’hanno fatta gli uomini, le donne ne sono rimaste fuori. In questo risiederebbe la causa, da una parte, della storica condizione marginale della donna e, dall’altra, della posizione di perenne dominio esercitata dall’uomo in seno alla società.

In effetti, di scomparsa si tratta. Però, chi ragiona seguendo questo assioma, ignora una questione assai importante, in grado di spiegare il perché del silenzio femminile: quella della mancata, o meglio, negata, istruzione delle donne nel corso della storia.

Virginia Woolf utilizza un semplice ma efficace esempio, divenuto nel tempo assai popolare, per far immaginare quale fosse la condizione delle donne nelle epoche passate. A metà del saggio Una stanza tutta per sé, la scrittrice afferma: «Non potevo fare a meno di pensare, mentre guardavo le opere di  Shakespeare nello scaffale (…) che sarebbe stato completamente e interamente impossibile che una donna scrivesse i drammi di  Shakespeare nell’epoca di  Shakespeare. Consentitemi di immaginare (…) cosa sarebbe successo se  Shakespeare avesse avuto una sorella meravigliosamente dotata, di nome Judith, diciamo”. Woolf prosegue presentando al suo pubblico l’immaginario e ipotetico corso delle vite dei due fratelli, un maschio e una femmina. William cominciò prestissimo a recitare e soprattutto si trovò al centro della società contemporanea; scriveva sapendo che avrebbe sfoggiato la sua arte in una dimensione pubblica. Intanto, la sorella straordinariamente dotata, rimaneva a casa. Eppure non era da meno del fratello. Non mancava di curiosità e di desiderio di conoscenza. L’unica differenza è che non era stata mandata a scuola. Non conosceva né la logica, né la matematica, tantomeno la filosofia. Se di tanto in tanto sfogliava un libro, presto arrivavano i genitori a chiederle di rammendare le calze o di ricordarsi dello stufato.

Per fortuna, nel corso della storia ci sono state delle eccezioni – ovviamente tutte da collocare in strati sociali benestanti – a una sistematica incapacità di offrire un’educazione alle donne. Si pensi al Rinascimento italiano popolato da un discreto numero di voci poetiche femminili. Ma si volga lo sguardo anche al personaggio di Sara Copio Sullam, “la bella Ebrea” di Venezia, che visse praticamente tutta la prima metà del XVII secolo (morì nel 1641 dopo una febbre durata tre mesi) e contribuì a creare il fermento culturale di Venezia di quel periodo. Sara Copio, sposata poi con Giacobbe Sullam, nacque a Venezia alla fine del ‘500 da una ragguardevole famiglia, che le garantì un’istruzione adeguata e completa. La giovane donna sin dalla tenera età fu seguita dal famoso Rabbino Leone Modena, figura di spicco dell’ebraismo italiano in quegli anni. Dai suoi contemporanei è ricordata non solo per la sua singolare bellezza, ma anche per  le sue particolari e ammirevoli capacità intellettuali. Dimostrò precoce ingegno e versatilità e fu dedita alla composizione tanto di musica quanto di rime. Esperta in teologia, filosofia, nelle lingue, nell’astrologia, nella storia della religione ebraica e nella letteratura rabbinica, si impegnò nel creare un cenacolo, in tutto e per tutto come un’Accademia, di intellettuali ebrei e non ebrei, nella sua casa, nel Ghetto Vecchio di Venezia. Nonostante le sue ambizioni letterarie fossero manifeste, quasi nulla è pervenuto a darcene testimonianza. Se non le sue rime, sono però pervenute delle testimonianze indirette che danno modo di costruire un interessante profilo della poetessa. La giovane infatti intrattenne con Ansaldo Cebà, un noto autore del tempo, un carteggio di cui sono sopravvissute solo le lettere dell’uomo. Da queste emerge la personalità di Sara Copio Sullam, e perciò, la notevole capacità di condurre discussioni di stampo teologico e filosofico. Insomma, una vera e propria femme savante, capace di tener testa al suo interlocutore in un dibattito tra le due religioni, quella ebraica e quella cattolica. Inoltre, la giovane è ferma e decisa nel denunciare l’ingiusta discriminazione imposta alla comunità ebraica e si mostra fiera della sua appartenenza religiosa, al punto da saper imporsi con un fermo e deciso diniego ai ripetuti tentativi di conversione operati dal Cebà negli anni della corrispondenza. Nel 1621 pubblica una risposta, l’unico testo pervenutoci, a un volumetto scritto da Baldassare Bonifacio che la accusava di non credere all’immortalità dell’anima. Il titolo del volumetto recita «Manifesto di Sarra Copia Sullam Hebrea. Nel quale è da lei riprovata e detestata l’opinione negante l’immortalità dell’Anima, falsamente attribuitale dal Sig. Bonifaccio» ed è costituito da una serie di argomentazioni teologiche e filosofiche, dietro le quali in realtà non c’è la credenza o meno dell’immortalità dell’anima, bensì la polemica sulla religione. È evidente come Sara Copio Sullam partecipò al dibattito del suo periodo, per quanto riguarda la penisola italiana tutto concentrato sulla religione. La prova della sua originale partecipazione è che seppe colpire con vivida intelligenza quanti tentarono di screditarla con critiche ingiuste, sia perché ebrea, sia perché donna. Ecco, allora, un tassello in più per tentare di sciogliere la questione dell’assenza di personaggi femminili dalla storia del sapere: le donne non hanno mancato di partecipare ai dibattiti della storia del pensiero, in quanto donne, bensì in quanto persone a cui veniva garantito l’accesso allo studio solamente in rari casi. Il giudizio che i contemporanei diedero sul conto di Sara Copio Sullam ne è una conferma. Ma questo è solo uno dei tanti esempi che la storia dell’ebraismo italiano potrebbe  offrire. Chissà quante donne nella storia dell’ebraismo aspettano ancora di essere riscoperte per il loro merito e per le loro conoscenze; e a quante altre si potrebbe restituire una fisionomia in grado di far luce sul rapporto tra ebraismo, erudizione e questione femminile.

Gaia Litrico


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