Ringiovanire il sistema immunitario, la scoperta del Technion
Perché il coronavirus è più “aggressivo” nella popolazione anziana? Perché i vaccini sono meno efficaci in questa popolazione? Queste domande sono state oggetto di molte ricerche nell’ultimo anno e mezzo, e rimane una delle più grande incognita sul funzionamento di questo (e anche altri) virus.
Dopo anni di ricerca, il Prof. Doron Melamed e la dottoranda Reem Dowery hanno proposto una possibile spiegazione per questo fenomeno. Melamed ha lavorato per anni il sistema immunitario umano, in particolare dei tipi di globuli bianchi chiamati cellule B o linfociti B. Queste cellule sono responsabili della produzione di anticorpi verso dei nuovi “invasori”, uno dei processi più importanti del nostro sistema immunitario. I linfociti B sono prodotti dal midollo osseo per poi migrare verso la milza, dove sono pronti ad attaccare eventuali patogeni.
“Quando si è giovani si hanno cellule giovani, e le cellule giovani hanno una versatile abilità di riconoscere qualsiasi patogeno che entra nel nostro organismo” ha detto Melamed in un’intervista al Jerusalem Post.
Le cellule B non hanno una lunga vita, ma vengono costantemente prodotte per mantenere un equilibrio. Una volta terminato il loro ciclo vitale, le cellule B diventano cellule B di memoria, cioè si “ricordano” il corpo esterno che hanno attaccato precedentemente, e circolano nel nostro corpo pronte ad attaccare una seconda volta. I linfociti B di memoria vivono per molto più tempo delle normali cellule B. Sempre dal laboratorio del Prof. Melamed era arrivata una prima teoria su un certo tipo di equilibrio tra questi globuli bianchi all’esterno e all’interno del midollo osseo. Questa teoria implica che, con l’invecchiamento, il numero di nuove cellule B prodotte dal midollo osseo sono sempre più basse, essendoci sempre meno “spazio” lasciato dalle cellule di memoria. Questo ridotto numero di nuovi linfociti causa una risposta immunitaria più lenta e debole.
“Immaginate di diventare un adulto, e poi un anziano, accumulate nel vostro corpo molte cellule di memoria. Siete sempre esposti a patogeni, e quindi producete più e più cellule di memoria. Avendo una vita relativamente lunga, più tempo passa e meno spazio ci sarà per nuovi linfociti B” ha detto Melamed.
Ciò che però ha attirato l’attenzione del pubblico è la scoperta di una sequenza di segnali chimici (TNFα/IGFBP-1/IGF1) rilasciati dalle vecchie cellule B per diminuire la produzione di nuove da parte del midollo osseo, l’equivalente di un ago in un pagliaio. Vista la scoperta, è iniziata subito una collaborazione tra l’ospedale Rambam, il Sourasky Medical Center e il Technion per studiare la possibile inibizione di questa reazione, che potrebbe potenzialmente giovare a pazienti con lupus, linfoma, sclerosi multipla etc etc.
Ci sono anche possibili implicazioni per “potenziare” i vaccini per la popolazione più anziana, ed aumentare la loro risposta immunitaria.
Sembra che i trial clinici siano vicini , per stabilire la sicurezza di una possibile cura inibitrice per questa reazione a catena.