Riflessioni di uno studente di medicina
di David Fiorentini
Di fronte al prolungato processo che ha plasmato la figura del medico durante i secoli, molte civiltà e menti brillanti hanno determinato profondamente il futuro di questa particolare professione. Una grande svolta, che senza dubbio ha cambiato irreversibilmente l’arte della medicina, è l’influenza dell’ebraismo: in particolare, sono rimasto decisamente stupito dalla personalità di Maimonide, il celebre rabbino sefardita che, dopo la morte del padre e del fratello, divenne il principale medico alla corte del Saladino e allo stesso tempo capo della comunità ebraica del Cairo.
La mentalità e la visione di Maimonide sono composte da un mosaico impressionante di principi filosofici e leggi naturali, che collegano armoniosamente i precetti per una vita sana e l’osservanza della Legge di Mosè. Inoltre, i ruoli di medico, rabbino e leader comunitario lo rendono molto più che un semplice professionista della salute; era un personaggio a tutto tondo, che ha impiegato tutti i suoi sforzi per migliorare la società del tempo. Questa spinta morale in ebraico si chiama Tikkun Olam (“riparare del mondo”), ed è uno dei principi più importanti della fede ebraica. Come ebreo italiano e come studente di medicina, considero gli insegnamenti di Maimonide una vera ispirazione per me.
Una profonda comprensione dei principi etici ebraici, che hanno caratterizzato significativamente le radici dell’Europa, è la chiave per un approccio completo alla professione medica e per cogliere l’essenza della sua responsabilità sociale. Nella Torah, il primo riferimento alla medicina è presente nel libro dell’Esodo, in cui si afferma: “Io sono il Signore che ti guarisce!”. Attraverso questa frase, Dio implica che non ha bisogno dell’uomo per curare il dolore che Egli ha creato, quindi perché l’uomo dovrebbe interferire nella volontà di Dio? Quale autorità ha l’uomo per guarire e alleviare le afflizioni degli altri esseri umani? In realtà, l’obbligo di salvare un’altra vita è ben radicato nella Torah; nello specifico, Maimonide deduce che abbiamo il dovere di curarci dal versetto “Lo restituirai a lui”. Mentre altri rabbini interpretato questo versetto come un ordine di restituire la proprietà perduta altrui, lui va oltre e include la salute come oggetto da riconsegnare.
Pertanto, non solo non bisogna ignorare pigramente un vicino in pericolo, ma è necessario tentare di rimetterlo in salute. La Torah concede il permesso al medico di guarire, tanto che questa è considerata una Mitzvah, un obbligo religioso. Tuttavia, uno può impegnarsi nella cura solamente se esperto o in assenza di qualcuno più qualificato, perché altrimenti starebbe solo mettendo in pericolo la vita del paziente.
I consigli di Maimonide spaziano su molti aspetti della medicina. In primo luogo, ha sottolineato la necessità di mantenere la salute sia mentale che fisica, in quanto: “È impossibile per uno capire le scienze e meditare su di loro quando è affamato o malato”. Inoltre, anche la sua guida alla chirurgia era molto profonda e accorta. Secondo il Rambam, quando i chirurghi pensano di intraprendere un’operazione devono tenere a mente 3 intenzioni: 1) lavorare in fretta, 2) non infliggere dolore e 3) essere sicuri del risultato. “Poi quando si considereranno queste intenzioni, sarà evidente a voi che a volte sarà più lodevole il trattamento chirurgico e, a volte, il trattamento medico”.
Come ulteriore questione, ha messo in guardia i pazienti dal visitare più medici quando malati: “Raramente un medico è chiamato a curare un paziente dall’inizio della sua malattia fino alla sua fine, piuttosto vagano da un medico all’altro”. Questo è nocivo per diversi motivi: in primo luogo, perché il paziente non è in grado di capire dove si celi la verità, per cui è probabile che segua il percorso più comodo rispetto a quello più scientificamente corretto. Dopodiché, alimenta la perplessità dei medici che non sono in grado di controllare i risultati delle rispettive terapie. In terzo luogo, non si può trascurare il danno professionale procurato ai medici se la loro credibilità fosse esclusivamente limitata al consenso altrui.
Questi sono solo alcuni dei principi fondanti del pensiero di Maimonide, senza i quali non si potrebbe neanche concepire il codice etico dei medici moderni; dalla professionalità ai rapporti con il paziente, e alla sacralità della vita umana.
Un altro crocevia tra religione e medicina, ai giorni nostri, è rappresentato da Rav Riccardo Di Segni, medico e Rabbino capo della Comunità Ebraica di Roma, il quale ha affrontato molti dilemmi etici durante la pandemia Covid-19. “Uno dei principali problemi di fronte a un momento di emergenza è dover scegliere chi salvare”, ha detto sottolineando come sia la medicina che la Halakhà, la legge ebraica, siano fattori da considerare. Il digiuno, ad esempio, che è un principio fondamentale nell’ebraismo, durante un periodo di pestilenza può essere evitato, in modo da garantire la migliore salute possibile. Adattando le antiche misure bibliche ai tempi moderni, Rav Di Segni evidenzia l’importanza di un dibattito tra rabbini e medici su tali questioni.
“Nell’etica medica convergono due dei più importanti contributi del popolo ebraico al progresso dell’umanità: la medicina e l’etica”. Fin dall’inizio, gli ebrei hanno mostrato una particolare preoccupazione per l’arte della guarigione. Come ho già detto in precedenza, la Bibbia include numerosi concetti rivoluzionari, dalla medicina preventiva alla salute pubblica. E nel Talmud, scritto quasi 2.000 anni fa, possiamo trovare la prima menzione di innovazioni mediche come arti e inseminazioni artificiali, contraccettivi orali e parti cesarei. Molti autori del Talmud stesso praticavano la medicina, fino all’emergere, nel Medioevo, del fenomeno del rabbino-medico.
Si stima che più della metà degli studiosi e degli autori rabbinici erano anche medici di professione, come Maimonide e Nachmanide. Questa predilezione ha certamente contribuito profondamente allo straordinario legame tra gli ebrei e la carriera medica nei tempi moderni. “Solo un atteggiamento condizionato da secoli di attenzioni sanitarie avrebbe potuto produrre una preoccupazione tale da aver permesso agli ebrei di ricevere circa il 20% di tutti i premi Nobel per la medicina – che in proporzione sono più di 40 volte la percentuale di ebrei nella popolazione mondiale.”
Nell’era odierna, invece, l’etica è minacciata dalla progressiva riduzione della natura umana a una macchina senz’anima. In particolare, a causa dei futuri progressi nell’ingegneria genetica, gli esperti potrebbero essere chiamati a prendere delicate decisioni etiche, lasciando alle spalle saggi, teologi e maestri della legge ebraica. Chi controllerà la moralità delle loro azioni? Gli umani potranno essere ridotti a masse di automi omologati? Nuove abilità e intuizioni mediche possono aprire un meraviglioso capitolo nella storia della guarigione, ma senza un rigoroso controllo morale ci potrebbe essere il rischio di creare danni irreversibili per l’umanità; valutando gli esseri umani in base alla loro validità da pezzi di ricambio, incubatori viventi o fornitori di organi una volta morti.
Tuttavia, nonostante le innumerevoli questioni rivolte all’etica medica e le moderne sfide alla legge ebraica, sono convinto che seguendo i passi indicati dai precetti ebraici e dai grandi maestri del passato, saremo in grado di comprendere vivamente lo speciale ruolo del medico e la sua unica relazione con la società e con il mondo.
Da oltre 2.000 anni, la civiltà occidentale ha deciso di dimostrare che dove c’è vita c’è speranza, preferendo la vita alla morte eroica o all’eutanasia. Grazie a questa scelta, possiamo guidare un’umanità distrutta a scegliere la supremazia dello spirito sul corpo, dell’etica sul materialismo, per raggiungere la salute universale.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.