Ricordo o memoria? Piero Terracina incontra i ragazzi Ugei
“Meditate che questo è stato”. Termina così, citando Primo Levi, il commovente racconto di Piero Terracina, ascoltato da un gruppo di giovani in occasione dell’anniversario della razzia del 16 ottobre 1943, che si è tenuto presso la “Casa della memoria e della storia”, organizzato dall’UGEI. I giovani presenti possono ritenersi molto fortunati, e di questo sono sicuramente consapevoli, in quanto costituiscono l’ultima generazione che può godere del grande privilegio di ascoltare dal vivo le parole di coloro che questa orribile tragedia hanno vissuto sulla propria pelle.
Il racconto di Piero comincia dal 1938, ripercorrendo il lungo cammino di cinque anni che lo portò ad Auschwitz. Inizia così dal giorno in cui 349 deputati del Parlamento italiano su 349 alzarono la mano per approvare le leggi razziali o, forse più correttamente, razziste. Nessun astenuto. Quel giorno cambiò la vita di Piero. La sua amata insegnante gli disse che dal giorno seguente non poteva più frequentare quella scuola: “Ero disperato, perché anche a meno di 10 anni si può essere disperati”, sottolinea.
Le Leggi razziste costituirono la premessa logico-giuridica per quella che poi diventò la vera e propria persecuzione degli ebrei per annientarli. Gli amici, racconta Piero, divennero perfetti sconosciuti. Nessuna telefonata, nessuna visita, anzi, se lo incontravano per strada si voltavano dall’altra parte. Piero ricorda a tutti noi e sottolinea come le leggi razziste non prevedessero soltanto l’espulsione degli alunni ebrei dalle scuole statali e ci legge altri divieti con la voce affranta di chi a queste leggi si è dovuto sottomettere. Mi ha colpito, forse perché non ne ero a conoscenza, che agli ebrei fu vietato persino di fare il bagno al mare. Vengono i brividi a pensare che leggi del genere possano essere state approvate dal Parlamento italiano, nei confronti di altri cittadini italiani che avevano combattuto ed erano morti per la creazione dello Stato italiano, nella più completa indifferenza della maggior parte.
La prima sera di Pesach del 1943, proprio nel solenne momento del canto dell’Haggadah, Piero e la sua famiglia vennero arrestati e portati nel carcere di Regina Coeli. Poi 18 vagoni partirono dalla stazione Tiburtina pieni di persone, trattate come animali e ignare della destinazione. Persone che vennero subito private della propria umanità, ammassate in carri bestiame senza posti per sedere, lasciate per giorni a respirare l’odore degli escrementi di tutti, lasciate urlare e implorare un po’ d’acqua senza avere una risposta. “Auschwitz è l’inferno, ma l’inferno era già cominciato nel viaggio”.
Piero racconta poi di come, arrivato ad Auschwitz, abbia seguito, dopo molti dubbi, il consiglio ricevuto da uno sconosciuto di dichiarare 18 anni invece di 15. Se non lo avesse fatto, non avremmo potuto ascoltare le sue parole. Non sarebbe sopravvissuto, come un milione e mezzo di altri bambini e ragazzi. Piero descrive i pesanti lavori che è stato costretto a svolgere, quelli sotto il sole cocente nei mesi estivi, e quelli sulla neve nei mesi invernali. Racconta l’amicizia che è nata tra lui e Sami Modiano a cui è legato indissolubilmente, come a un fratello. Il dubbio che ognuno si poneva la mattina era se sarebbero riusciti ad arrivare alla sera, se avrebbero ancora avuto le forze necessarie ad andare avanti. Un giorno Piero si rese conto di aver esaurito le proprie forze, di non potercela fare più, e decise che, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto mollare. Così si mise seduto accanto a una latrina per ore. Ancora oggi si domanda se non sia stato notato da nessuno o se qualcuno lo abbia visto e abbia fatto finta di niente. Sa che la prima opzione è quella più probabile, ma spera che sia accaduta la seconda.
Piero ci esorta a meditare e, dopo la sua inesauribile testimonianza che ci ha riempito di emozioni, è difficile non seguire il suo consiglio. Se solitamente i giovani hanno difficoltà ad ascoltare discorsi troppo lunghi, i presenti hanno dimostrato che quelli di Piero si possono ascoltare per ore senza mai stancarsi, perché ogni parola persa è una parola dimenticata e dimenticare ciò che è stato sarebbe l’errore più grande che si possa commettere per evitare che quanto accaduto possa ripetersi. Piero aveva iniziato la serata con un monito che deve rimanere bene impresso nella nostra testa:
“La memoria non è il ricordo. Il ricordo si esaurisce con la fine della persona che ricorda quello che ha vissuto. La memoria è come un filo che va dal passato al presente ma poi deve raggiungere anche il futuro. Quindi il futuro è condizionato dal passato e soltanto se faremo memoria e la trasmetteremo poi alle nuove generazioni, soltanto così possiamo sperare che il passato non torni.”
Dobbiamo mantenere la memoria di quanto accaduto, come se fosse successo a noi. Ma non è sufficiente, dobbiamo “fare” memoria, lo dobbiamo a Piero e agli altri, sopravvissuti o no.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.