Rapito – La storia di Edgardo Mortara. Intervista al regista Marco Bellocchio
Se ne parlava già da prima che iniziasse la pandemia: realizzare un film sulla storia di Edgardo Mortara, uno dei più famosi casi di conversioni forzate del XIX secolo.
Bologna, 1858: sestogenito di otto figli, Edgardo Mortara viene improvvisamente strappato alla sua famiglia ad appena sei anni da parte delle autorità clericali, perché la domestica di casa Mortara Anna Morisi ha rivelato di averlo battezzato all’insaputa dei genitori quando Edgardo aveva solo pochi mesi.
La Morisi infatti credeva che Edgardo fosse in fin di vita a causa di una malattia, perciò per evitare che l’anima del bambino finisse nel limbo, secondo la concezione cattolica, lo battezzò di nascosto.
Nonostante le opposizioni della famiglia e delle istituzioni ebraiche ed europee, il piccolo Edgardo è stato portato a Roma, alla casa dei Catecumeni, sotto la tutela di Papa Pio IX, dove è stato allevato come un cattolico.
Anche in età adulta, quando Edgardo avrebbe potuto scegliere se tornare dalla sua famiglia, o proseguire sulla via del cattolicesimo, il ragazzo decise di intraprendere il noviziato, studiando prima in Belgio,in Francia, poi di nuovo a Bologna, portando avanti la missione di tentare di convertire quanti più ebrei possibile.
A ventitrè anni il giovane Edgardo viene ordinato sacerdote con il nome di Pio e persegue i fondamenti della religione cattolica fino alla morte nel 1940.
Il caso Mortara ha fatto discutere per anni: una storia di violenza, sottomissione e violazione dei diritti umani, che dopo essere caduta per anni nel dimenticatoio, è tornata alla luce quando nel 2000 l’allora pontefice Giovanni Paolo II ha preteso la beatificazione di Pio IX, il Papa che ha ordinato il rapimento di Edgardo e si è sempre rifiutato di restituirlo alla famiglia, per dare prova del potere dello Stato Pontificio, che allora era in bilico.
L’idea di realizzare un film sul Caso Mortara era partita da Steven Spielberg, che avrebbe dovuto basarsi sul libro di David Kertzer “Prigioniero del Papa re”, ma data la difficoltà di trovare un attore americano che desse vita al personaggio di Edgardo nella maniera più realistica possibile e la necessità di girare in Italia, il regista americano ha deciso di abbandonare il progetto.
È stato invece il regista italiano Marco Bellocchio a portare la storia di Edgardo Mortara e della sua famiglia sul grande schermo con il film “Rapito”, presentato in anteprima in concorso al Festival di Cannes e nelle sale dal 25 maggio.
Con un cast d’eccezione che vede Leonardo Maltese nel ruolo di Edgardo Mortara adulto (il piccolo Edgardo invece è interpretato da Enea Sala), Barbara Ronchi nei panni di Marianna Padovani – Mortara, la mamma di Edgardo, Paolo Pierobon nel ruolo di Papa Pio IX, Fausto Russo Alesi interprete di Momolo Mortara e tanti altri, Bellocchio ha dato vita ad un progetto cinematografico estremamente accurato, crudo, vero con una forte attenzione ai dettagli come l’utilizzo della lingua ebraica e latina, ad incentivare ancora di più sia il mondo ebraico che il mondo cattolico e le rispettive tradizioni messe costantemente a confronto.
Un lavoro che ha riportato l’attenzione su una pagina della storia ebraica ed italiana che non deve rimanere nascosta negli archivi.
In occasione di una proiezione del film “Rapito” organizzata dalla Comunità Ebraica di Roma, a cui hanno partecipato il regista e il cast, Marco Bellocchio ha risposto a qualche domanda per HaTikwa.
Come è venuto a conoscenza della storia di Edgardo Mortara?
“Per caso. Ho letto il libro “Io, il bambino ebreo rapito da Pio IX” di Vittorio Messori, che raccontava una versione della storia completamente a difesa del Papa. All’interno del libro c’era anche una piccola biografia di Edgardo Mortara, da cui abbiamo tratto degli episodi che racconta lo stesso Edgardo, dove non metteva in discussione il comportamento del Papa, anzi, sembrava che molti gesti di Pio IX nei suoi confronti fossero giusti, generosi, buoni. Prima di scrivere la sceneggiatura abbiamo consultato diversi libri e scrittori per cercare di ricostruire la storia nella maniera più accurata possibile”.
Per anni il Caso Mortara è stato oggetto di discussione. Che cosa l’ha spinta ad approfondire questo argomento per poi trasformarlo in una sceneggiatura?
“Leggendo libri, documenti e ricerche sono rimasto sconvolto dal rapimento di questo bambino e da questa violenza sia nei confronti di Edgardo che è stato costretto ad abbandonare il suo credo, sia nei confronti della sua famiglia e delle comunità ebraiche, allora costrette a sottomettersi al Papa. Pur essendo cattolico ho percepito una certa attinenza con la mia educazione, perciò in un certo senso comprendo quello che succede ad Edgardo, ciò da cui si deve difendere e la paura. Nella religione cattolica c’è questa concezione di una miglior vita dopo la morte, perciò bisogna stare sempre “in grazia di D-o” e ricordo che da piccolo avevo timore di perdere questa grazia di D-o, la stessa che spinge Edgardo a proseguire sulla via del cattolicesimo”.
Proprio perché il Caso Mortara rappresenta un argomento delicato sia dal punto di vista ebraico, sia dal punto di vista cattolico, quali sono state le difficoltà che ha incontrato nel raccontare questa storia?
“Non conoscendo la vicenda a fondo ci siamo appoggiati moltissimo alle comunità ebraiche, in particolare la Comunità di Bologna che ci ha aiutato ad approfondire la storia dei Mortara. Ci è stato insegnato quello che non sapevamo, come le preghiere, le tradizioni, come le benedizioni, lo Shemà che ricorre in più scene del film, soprattutto quando Edgardo è ancora bambino e lo recita ogni sera con la sua famiglia prima di addormentarsi. Poi c’è la Storia, che abbiamo avuto modo di approfondire e naturalmente la parte cattolica che conoscevo di più”.
Da dove arriva la scelta del titolo “Rapito”?
“Il titolo definitivo è arrivato per terzo. All’inizio avevamo pensato a “La Conversione”, ma a me non piaceva e vista anche l’opposizione delle comunità ebraiche a cui ci siamo rivolti per i diversi aspetti del film, abbiamo deciso di rinunciare. La seconda opzione era “Non possumus”, la formula latina con cui Papa Pio IX ha in un certo senso giustificato il rifiuto di restituire Edgardo alla sua famiglia. Alla fine è venuto fuori “Rapito”: un titolo forte che racchiude in sé il significato del film e la vera storia di Edgardo”.