Quando la musica unisce i popoli, la nostra esperienza all’Eurovision
di Luca Spizzichino e Ghila Lascar
La musica come strumento per unire i popoli. Proprio con questa idea, nel lontano 1956, Sergio Pugliese, il direttore della RAI dell’epoca, volle creare una rassegna musicale europea ispirandosi al Festival della Canzone Italiana di Sanremo. La volontà era di far nascere un concorso canoro con lo scopo nobile di promuovere la collaborazione e l’amicizia tra i popoli europei con l’intento di ricostruire un continente dilaniato dalla guerra attraverso lo spettacolo e la tv. Una proposta abbracciata immediatamente da Marcel Bezençon, il franco-svizzero allora direttore generale dell’Eurovisione, che decise di organizzare la prima edizione a Lugano, in Svizzera.
Da allora, nel corso degli anni, la manifestazione è cresciuta in maniera esponenziale, passando da evento elitario, con meno di 7 paesi partecipanti, a vero e proprio fenomeno globale, con più di 40 nazioni, tra cui l’Australia, che pur non facendo parte della European Broadcasting Union, organizzazione promotrice del Festival, è stata invitata alla competizione.
Vi starete chiedendo, ma perché stiamo parlando dell’Eurovision? Che cosa ha di particolare questa manifestazione? L’atmosfera.
Lo scorso giovedì abbiamo assistito alla seconda semifinale dell’Eurovision Song Contest, ospitato al Pala Alpitour di Torino e condotto, in questa edizione italiana, da Mika, Laura Pausini e Alessandro Cattelan.
La città sabauda è stata completamente ripensata in funzione dell’evento. Siamo stati immersi in un clima internazionale, festaiolo, ma pur sempre con un pizzico di competizione, dove tutti erano arrivati in città con lo scopo di sostenere uno o più paesi. Non era casuale vedere persone con le bandiere del paese che volevano sostenere sia in giro per la città che, ovviamente, all’interno dell’evento, anzi, diventava motivo per scherzare sulle canzoni in gara, se non addirittura un modo per cantarle tutti insieme.
All’esterno del Pala Olimpico l’atmosfera era proprio questa: persone da ogni parte del globo con la propria bandiera, sciarpa, oppure look e outfit che ricordavano quelli degli artisti in gara o, meglio ancora, gli abiti tradizionali dei propri paesi di provenienza. Tutti camminavano per la piazza antistante l’evento per cercare di fare foto con alcuni dei look migliori oppure sotto le scritte “Eurovision” o “The sound of Beauty” (dove addirittura abbiamo assistito ad una proposta di matrimonio, ndr).
All’interno il clima era addirittura ancora più accogliente: condividere qualche parola oppure anche un semplice sguardo di intesa con chi portava la tua stessa bandiera, sembrava la cosa più naturale del mondo. Era palpabile il grande fermento tra gli spettatori che aspettavano solo di vedere quella esibizione di tre minuti, per cui ognuno ci mette il proprio cuore nel sostenerla perché genuinamente attaccato al proprio “orgoglio nazionale”; anche se questo non prescinde dal sostenere gli altri, anzi.
Difficile descrivere l’emozione e lo stupore di stare lì. È un evento unico nel suo genere, un luogo dove ognuno è libero di essere se stesso, orgoglioso di rappresentare a modo suo il proprio paese. Soprattutto senza il terrore di venire giudicati, o ancora peggio, aggrediti. Sia noi che tanti israeliani presenti al Pala Alpitour, eravamo muniti di bandiere ed altri accessori pronti per supportare Michael Ben David, il rappresentante di Israele all’Eurovision, che si sarebbe esibito quella sera. Prima di arrivare al Palazzetto credevamo potessimo avere problemi nel tirare fuori e tenere in bella mostra la bandiera dello Stato ebraico, ma al contrario, le bandiere israeliane sventolavano orgogliosamente in mezzo alla folla. In un men che non si dica, si era creato un piccolo angolo di Israele, tanto che anche il cantante israeliano in gara ci ha salutato dal suo divanetto dopo averci notato.
Nessuna tensione, nessuno sguardo di disgusto nel vedere la bandiera con la Stella di David sventolare, solamente tanta voglia di celebrare la musica gli uni vicini agli altri. Gli ideali su cui si fonda l’Unione Europea e lo spirito che anima questa manifestazione hanno preso letteralmente vita.
L’Europa attraverso “il linguaggio universale del genere umano”, ossia la musica, ha visto cadere le sue frontiere, celebrando l’unione dei paesi membri e allo stesso tempo promuovendo le diversità. Solo vivendo l’Eurovision Song Contest si può capire quanto sia speciale e unico questo evento.
Nato a Roma. Giornalista pubblicista. Collaboratore per Shalom.it e responsabile della comunicazione sui social network per l’Archivio Storico della Comunità Ebraica di Roma. Consigliere con la delega a Roma e Tesoriere nel Consiglio Esecutivo 2018, Revisore dei Conti nel 2019 e per il 2023.
Caporedattore nel 2020, è stato Direttore Editoriale di HaTikwa fino a dicembre 2023. Membro del Consiglio Esecutivo 2024-2025, ricopre il ruolo di Presidente, con delega ai Rapporti Istituzionali e Roma.