Proud to be Jews: MDKI con GET e UGEI per uno Shabbaton inclusivo

MDKI

Questo articolo è stato scritto utilizzando il linguaggio inclusivo su espressa richiesta delle autrici.

di Sara Lanternari e Naelle Kafka

In occasione del mese del Pride, si è svolto a Roma, tra il 10 e il 12 giugno, lo Shabbaton “Proud to be jews”, nato grazie all’impegno di Magen David Keshet Italia – la prima organizzazione indipendente ebraica LGBTQIA+ – rappresentata da Meir Brauner, Raffaele Sabbatini e Ariel Heller, di GET, in particolare del Presidente Ruben Piperno, e della Vicepresidente UGEI Dafna Terracina. Questa collaborazione, sorta per portare avanti la costruzione di un ambiente sano e sicuro per lɜ appartenenti alla comunità LGBTQIA+ all’interno dell’ebraismo italiano, ha visto la partecipazione di circa 40 persone alle attività, segnando senza alcun dubbio un importante precedente e un punto di partenza per l’organizzazione di prossimi eventi all’insegna dell’inclusione.

Lo Shabbaton si è aperto con l’attività di Tami Fiano, in cui lɜ partecipanti hanno avuto la possibilità di conoscersi meglio a partire da alcune domande riguardanti i pronomi utilizzati da ciascunə, l’età, la provenienza e il percorso di studi, per poi approfondire altri aspetti. Oggetto di reciproco interesse è stato in particolare l’ambiente sociale di origine, anche in quanto tipo di comunità ebraica, analizzato con il senso critico di chi sa riconoscere luci e ombre del luogo a cui appartiene. Infine non poteva mancare, nella condivisione di ideali e prospettive di vita, l’espressione delle proprie aspettative sullo Shabbaton stesso: è così che lɜ partecipanti, chi più chi meno già attivə nelle tematiche in questione, chi in cerca di meritato riposo, chi in cerca di spensierato divertimento, si sono trovatɜ accomunatɜ dalla voglia di acquisire maggiore consapevolezza su un argomento delicato quanto importante come quello dell’inclusione.

La domanda da porsi quindi è stata: in che modo uno Shabbaton può permettere di raggiungere questo tipo di consapevolezza? Chiaramente, l’adesione ad un evento chiave per la lotta LGBTQIA+ come il Pride è più che d’aiuto per far sentire attivamente la propria voce: in linea con il proprio modo di vivere l’ebraismo, ognunə ha preso parte al coro del variopinto corteo che è partito da Piazza della Repubblica il pomeriggio dell’11 giugno, dimostrando che l’osservanza dello Shabbat non preclude in alcun modo la partecipazione ad eventi di questa portata.

“This is how we jew it”, il motto scelto da MDKI per questa occasione, che esprime un connubio tra ebraismo e comunità LGBTQIA+, era presente implicitamente anche sulle bandiere arcobaleno con al centro un Magen David bianco che sventolavano durante la parata, portatrici della forza e della convinzione di chi le stringeva tra le mani, in tema con la festosa atmosfera circostante.

La gioia e la manifestazione di “pride”, orgoglio, non sono cessati con il tramontare del sole: il vivace clima della giornata ha continuato a farsi sentire anche al “pride party” serale, in un parco all’aperto, ballando fino a perdere le forze.

Incontrarsi, conoscersi, scoprire che non si è solɜ e condividere la propria esperienza è stato importante per poter concludere al meglio il weekend con le attività domenicali, svoltesi all’aperto a Villa Pamphili. Qui il cerchio tra le persone si è riproposto, in modo da proseguire la riflessione avviata il primo giorno, questa volta però con un pizzico in più della tanto ambita consapevolezza. Un telo steso sul prato e un poké da gustare appoggiato sulle gambe incrociate sono stati lo sfondo disimpegnato per la condivisione di riflessioni sullo Shabbaton. Numerose sono state le emozioni nominate, come sorpresa o divertimento, ma ciò che è poco ma sicuro è che due soli giorni hanno avuto il potere di scuotere coscienze, forse già in precedenza vogliose di aprirsi ma troppo pigre per farlo in assenza di stimoli. Il weekend si è chiuso con un ultimo punto di domanda: “come vedi la comunità ebraica tra dieci anni? Cosa faresti per raggiungere questo modello?”. Ed è qui che lɜ ragazzɜ si sono abbandonatɜ a fantasticherie su una comunità in cui ci si possa sentire a casa, qualunque sia il modo in cui si è fattɜ, e in cui il rispetto e il senso di inclusione si respirino in ogni angolo. Sono questi i desideri con cui si è concluso il week-end. Un primo passo verso un futuro che non può e non deve essere utopico e per cui si deve lavorare ogni giorno attivamente, provando ad essere, citando Gandhi, “il cambiamento che si vuole vedere”, perché la piena uguaglianza è un diritto di tuttɜ e nessuna persona dovrà più sentirsi esclusə, dentro e fuori la nostra comunità. A segnare questo proposito per il futuro è stata l’istituzione di un dipartimento giovanile di MDKI, guidato da Ariel Heller, Dafna Terracina e Ruben Piperno.

In conclusione, la questione del riconoscimento dell’esistenza e della rappresentazione delle identità non-eterosessuali e non-cisgender è un tema più che mai attuale nella società contemporanea, per questo motivo è importante che anche le nostre comunità ebraiche comincino a interfacciarsi con questi temi. Noi, in quanto giovani, siamo pienamente immersɜ nei cambiamenti sociali del nostro tempo e non possiamo ignorarli; dobbiamo, anzi, prendere consapevolmente una posizione: scegliamo, ancora una volta, di stare dalla parte dei diritti. In quanto giovani, in quanto ebreɜ, non possiamo fare altro che supportare la rivendicazione del diritto all’esistenza di persone discriminate e marginalizzate. Bisogna, chiaramente, mettere in conto le contraddizioni che, secondo le istituzioni, esistono tra religione e identità queer, ma è allo stesso tempo necessario che le persone in cui queste identità non normative convivono con l’identità ebraica non debbano sentirsi invisibili ancor di più, che non debbano scegliere di distaccarsi dalla propria eredità ed identità culturale per poter vivere liberamente il proprio orientamento sessuale o identità di genere.

 


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