Perchè boicottare la conferenza Durban IV
Il 22 Settembre 2021, ai sensi di una risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottata il 31 dicembre 2020, le Nazioni Unite convocheranno una riunione per celebrare il ventesimo anniversario della Dichiarazione di Durban.
Contrariamente al suo scopo originale, la Conferenza Mondiale Contro il Razzismo di Durban del 2001 fu caratterizzata da gravi manifestazioni di odio, antisemitismo e diffamazione dello Stato Ebraico. Israele fu gravemente preso di mira per la maggior parte del convegno, oltre che al Forum delle ONG tenutosi parallelamente all’evento istituzionale.
Da quel momento, la Dichiarazione di Durban è stata utilizzata per promuovere il razzismo, l’intolleranza, l’antisemitismo e il negazionismo dell’Olocausto, oltre che per erodere la libertà di espressione e il diritto di Israele a esistere.
Per questo motivo, la quarta edizione della Conferenza di Durban non farà altro che appoggiare nuovamente questa perversione dei principi dell’uguaglianza e dell’antirazzismo.
DURBAN I: WORLD CONFERENCE AGAINST RACISM
Indetta dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con la Risoluzione 52/111, la prima Conferenza Mondiale Contro il Razzismo di Durban è stata preceduta da una serie di riunioni preparatorie con lo scopo di individuare i temi da approfondire e di elaborare le prime bozze della futura dichiarazione.
Già durante le prime sedute a Ginevra, il testo presentato faceva riferimento a “pratiche razziste sioniste”, tra cui un appello rivolto a Israele per “rivedere la sua legislazione basata sulla discriminazione razziale o religiosa, come la legge del ritorno e tutte le politiche di una potenza occupante che impediscono ai rifugiati palestinesi e agli sfollati di tornare alle loro case e proprietà”, e un suggerimento per la necessità di “porre fine all’occupazione straniera di Gerusalemme da parte di Israele e a tutte le sue pratiche razziste”.
Per cui, gli Stati Uniti, turbati dalla deriva dei lavori, minacciarono immediatamente di boicottare la conferenza se la bozza non fosse corretta cancellando qualsiasi collegamento tra sionismo e razzismo. Tuttavia, rassicurati dalle parole dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani Mary Robinson, gli USA inviarono comunque una delegazione di basso livello, guidata dall’Ambasciatore Michael Southwick, piuttosto che dal Segretario di Stato Colin Powell.
Purtroppo, le buone speranze furono presto tradite: il 3 Settembre 2001, dopo appena quattro giorni di sterili negoziati e accuse infamanti, le delegazioni degli Stati Uniti e di Israele si ritirarono dalla convention.
I discorsi ingiuriosi contro Israele erano onnipresenti. Il Presidente dell’OLP Yasser Arafat aveva accusato lo Stato Ebraico per la “bruttezza delle politiche e pratiche razziste israeliane contro il popolo palestinese”; il dittatore cubano Fidel Castro aveva pianto il “terribile genocidio perpetrato contro i fratelli palestinesi”; e la nuova bozza della dichiarazione aveva persino espresso “profonda preoccupazione” per “l’aumento delle pratiche razziste del sionismo” e dell’emergere di “movimenti fondati sul razzismo e su idee discriminatorie, in particolare quello sionista, che si basa sul concetto di superiorità razziale”.
Affermazione quest’ultima, che fu eliminata all’ultimo momento dalla versione finale sotto pressione dei Paesi Membri dell’Unione Europea, i quali minacciarono di seguire USA e Israele abbandonando il congresso. Tuttavia, il resto del testo rimase un insieme di illazioni contro lo Stato Ebraico additato come fondamentalmente razzista e intollerante.
Parallelamente agli incontri istituzionali, si svolse il Forum delle ONG, che riuniva 3000 ONG e 8000 rappresentanti. I lavori del Forum furono altamente disorganizzati e confusionari, con diversi delegati espulsi e svariate manifestazioni antisemite. La Dichiarazione del Forum delle ONG descrisse Israele come uno Stato razzista e di apartheid, colpevole di crimini di guerra, atti di genocidio e pulizia etnica. L’atto conclusivo sarebbe dovuto essere consegnato simbolicamente all’Alto Commissario Robinson, eppure, la funzionaria irlandese si rifiutò di accettare il documento, poiché impensierita dal linguaggio utilizzato nella stesura finale.
In un’intervista successiva ammise che per tutta la settimana “c’era un orribile antisemitismo presente – in particolare in alcune delle discussioni delle ONG. Molte persone ha detto che non sono mai state così ferite o così molestate o così sfacciatamente di fronte ad antisemitismo.”
Inoltre, fuori dai centri congressi, prese luogo una marcia a guida palestinese con migliaia di partecipanti, in cui spiccavano striscioni: “Hitler avrebbe dovuto finire il lavoro” o fotografie del Furher con scritto: “E se avessi vinto? Cose buone: non ci sarebbe nè Israele, nè sangue palestinese sparso – il resto lo puoi immaginare”.
DURBAN II: DURBAN REVIEW CONFERENCE
Tenuta dal 20 al 24 Aprile 2009, la Durban Review Conference si è svolta presso l’Ufficio delle Nazioni Unite a Ginevra, in Svizzera. La seduta è stata convocata con l’obiettivo di esaminare l’attuazione della Dichiarazione di Durban e del Programma d’Azione della Conferenza Mondiale Contro il Razzismo del 2001.
Alla luce dello scempio della precedente edizione, Durban II è stata subito boicottata da Australia, Canada, Germania, Israele, Italia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia e Stati Uniti; con la Repubblica Ceca che ha interrotto la sua partecipazione il primo giorno, e altri 23 Paesi dell’Unione Europea che hanno inviato solamente delegazioni di basso livello.
I Paesi Occidentali recriminavano l’alta probabilità che l’incontro sarebbe stato nuovamente dirottato per promuovere antisemitismo e leggi contrarie ai principi della libertà di espressione. Preoccupazioni legittime, visto che come Chairman del Comitato di Pianificazione 2007-2009 era stata designata Najat Al-Hajjaji, fedelissima del regime libico del Col. Gheddafi, e come vice un diplomatico di Cuba. Inoltre, stupiva l’assenza dall’ordine del giorno del tema della discriminazione degli omosessuali e dei problemi di razzismo e intolleranza nei Paesi in via di sviluppo.
Come se non bastasse, ad aprire i lavori, è intervenuto il Presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, uno dei negazionisti dell’Olocausto più famosi dell’epoca, che fece subito intendere l’andazzo della giornata.
Durante il suo discorso affermò: “Il sionismo mondiale personifica il razzismo che ricorre falsamente alla religione e abusa dei sentimenti religiosi per nascondere la sua brutta faccia. (…) Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con il pretesto della sofferenza ebraica è stato istituito un Paese totalmente razzista nella Palestina occupata.”
Sentendo tali affermazioni, i diplomatici dei restanti Paesi UE presenti si alzarono e uscirono dall’aula in segno di forte protesta. Anche i funzionari degli Stati Uniti, non presenti all’assemblea, condannarono immediatamente le parole del leader iraniano. Il Vice Ambasciatore USA presso l’ONU Alejandro Wolff ha definito le osservazioni di Ahmadinejad “vili, odiose e istigatrici”, e ha elogiato il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon per averle condannate. “Questa volta, Hitler ha la barba e parla persiano” scrisse invece l’allora Presidente della Knesset Reuven Rivlin ai suoi omologhi all’estero, paragonando Durban II alle Olimpiadi di Berlino del ‘36 e invitando i legislatori ad agire contro il Presidente iraniano.
A precedere l’evento, analogamente alla scorsa esecuzione, numerose ONG palestinesi e anti-Israele hanno realizzato una riunione parallela, questa volta intitolata “Conferenza di revisione di Israele: Uniti contro l’apartheid, il colonialismo e l’occupazione, dignità e giustizia per il popolo palestinese”. Organizzata dall’International Jewish Anti-Zionist Network, dalla International Coordinating Network on Palestine e dal Boycott, Divestment and Sanctions (BDS) Committee, ha visto la partecipazione di circa 160 delegati, accomunati dall’avversione viscerale allo Stato Ebraico.
DURBAN III: IL DECIMO ANNIVERSARIO DI DURBAN I
Nel Settembre 2011, alti funzionari da tutto il Mondo si sono riuniti a New York per celebrare il decimo anniversario della Dichiarazione di Durban, in un’assemblea che divenne nota come Durban III. 15 Paesi si sono rifiutati di partecipare: Australia, Austria, Bulgaria, Canada, Repubblica Ceca, Francia, Germania, Israele, Italia, Lettonia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Polonia, Regno Unito e Stati Uniti.
Considerato il passato dell’iniziativa, ancora una volta i presagi che il “processo di Durban” fosse una scusa per promuovere l’antisemitismo, il negazionismo e la delegittimazione dello Stato d’Israele, spiccarono notevolmente.
“Il Canada è chiaramente impegnato nella lotta contro il razzismo, ma la Conferenza di Durban commemora un’agenda che promuove il razzismo piuttosto che combatterlo. Il Canada non parteciperà a questa farsa. Non daremo il nostro buon nome a questo festival dell’odio” ha dichiarato il Ministro dell’Immigrazione canadese Jason Kenney, nel declinare l’invito alle celebrazioni.
Dello stesso parere altresì la Vice Presidente della Commissione Affari Esteri italiana Fiamma Nirenstein, che si era occupata dell’originale Conferenza di Durban da giornalista.
“Durban III riconferma la piattaforma estremamente violenta del vertice precedente, in cui gli ebrei che indossavano la kippah dovevano proteggersi dai manifestanti che portavano ritratti di Bin Laden e perseguitavano gli ebrei. (…) Riabilitare la Dichiarazione di Durban significa rilanciare le manifestazioni di odio in cui la svastica e la stella di David si sovrappongono e dichiarare aperta la stagione di caccia sugli ebrei. Il risultato è una crescita esponenziale negli incidenti antisemiti.”
Diversamente alle precedenti occasioni, durante i lavori istituzionali si sono tenute due grandi manifestazioni di protesta pro-Israele. La prima, promossa da una coalizione di 25 ONG, guidate dalla svizzera UN Watch, che hanno organizzato il vertice sui diritti umani “We Have A Dream”, con l’obiettivo di attirare l’attenzione sui difetti del sistema ONU e promuoverne la riforma. La seconda, “The Perils of Global Intolerance”, è stata curata dal premio Nobel per la Pace Elie Wiesel e l’attivista per i diritti umani Anne Bayefsky, per sottolineare le sostanziali incongruenze della Dichiarazione di Durban.
DURBAN IV: IL PROSSIMO APPUNTAMENTO
Pianificato per Settembre 2021, il ventesimo anniversario di Durban I aveva già subito pesanti critiche al momento della sua indizione nel tardo 2020, con il voto contrario di USA, Israele, Canada, Australia, UK, Francia, Germania, Paesi Bassi, Repubblica Ceca e Slovenia.
A pochi mesi dalla conferenza, già 10 Paesi hanno annunciato il loro rifiuto a partecipare: USA, Israele, Canada, Australia, Regno Unito, Ungheria, Paesi Bassi, Austria, Repubblica Ceca e Germania.
L’Italia, comprensibilmente coinvolta in altre emergenze, non ha ancora annunciato la propria posizione. Tuttavia, è auspicabile un ritorno alla linea dell’allora Ministro degli Esteri Franco Frattini, che per due volte decise di boicottare la manifestazione-farsa:
“Da tempo l’esercizio noto in ambito ONU come “processo di Durban” suscita le nostre riserve, poiché è stato negli anni oggetto di strumentalizzazioni politiche per trasformarlo – da foro di dibattito e coordinamento dell’azione internazionale contro il razzismo, la discriminazione e la xenofobia – in una tribuna d’accusa contro Israele. (…) Riteniamo inaccettabile ogni collegamento assiomatico tra difesa di Israele del proprio diritto ad esistere come Stato e razzismo.”
Studente di Medicina presso Humanitas University di Milano, è stato Presidente UGEI nel biennio 2022-2023.
Nato e cresciuto a Siena, attualmente ricopre il ruolo di Policy Officer ed è redattore di HaTikwa.