Parliamo di Pesach
Da quando mi sono trasferita alla LUISS per la laurea magistrale di Scienze politiche, molti dei miei nuovi compagni mi fanno spesso domande sull’ebraismo. Nel mio corso, infatti, ci sono studenti provenienti da tutta Italia, anche da piccoli paesi, in cui la presenza ebraica è molto scarsa o nulla.
Non passa giorno che qualcuno non mi chieda cosa io possa o non possa mangiare, se festeggi il Natale, cosa si faccia durante lo Shabat e molte altre domande. Forse sono la prima ragazza ebrea che conoscono, forse semplicemente vogliono sapere di più sull’argomento.
Ho intervistato alcuni miei amici per capire cosa sapessero su Pesach, Tra loro, solamente un ragazzo romano è a conoscenza di cosa si festeggi, ovvero la liberazione degli Ebrei dall’Egitto, dopo secoli di schiavitù. Altri ragazzi, provenienti anche da piccole città italiane (Pesaro, Savona, Sulmona), conoscono la durata della festività (circa una settimana), e che si mangia il pane azzimo perché i cibi lievitati sono vietati.
Quando chiedo loro il perché di questa restrizione, non mi sanno rispondere. Allora inizio a raccontare che quando gli ebrei fuggirono dall’Egitto non ebbero il tempo di far lievitare il pane e, per ricordare quest’avvenimento, non mangiamo cibi lievitati per otto giorni. Chiedo loro se sanno quali sono i cibi tipici della cena di Pesach e visto che non ne sono a conoscenza, glielo spiego. Parlando con loro ho notato che la cosa che li stupisce maggiormente è che rispettiamo ancora tutte le regole della festività. Mi dicono che, invece, loro non rispettano così rigidamente la Pasqua cattolica. Inoltre, di fronte alle nuove informazioni, ho riscontrato un sincero interesse e la richiesta di saperne di più. Molte delle informazioni che sanno, mi dicono, le hanno apprese guardando film, alle lezioni di religione del Liceo, o in qualche caso perché hanno conosciuto altri ebrei.
La curiosità e l’interesse spinge questi ragazzi ad avere più notizie sull’argomento e quindi sono contenta di poter far luce su alcuni loro dubbi o perplessità. Mi è capitato, in altre occasioni, di dovermi confrontare con persone ignoranti, che avevano una mentalità ristretta e non riuscivano a capire realtà diverse dalle loro.
D’altra parte, come i miei colleghi mi fanno spesso domande sulla mia religione, anch’io chiedo dettagli sulla loro e quindi si tratta di uno scambio reciproco. Il rispetto per gli altri è uno dei doveri della religione ebraica, perciò mi sento in dovere di rispettare il credo altrui e soddisfare le curiosità sull’ebraismo.
Michela Di Nola
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.