Parashat Behar, tra libertà e schiavitù
di Redazione
Nella Parasha di questa settimana, Parashat Behar, un attimo prima che il popolo di Israele entri in Terra d’Israele, leggiamo un brano che ricorda la schiavitù in Egitto. Dopo la liberazione, un attimo prima di arrivare nella Terra promessa, la Torah ci riporta alla schiavitù. Perché?
Esistono diverse risposte a questa domanda. Rabbi Nachman di Breslavia spiega che ogni essere umano è composto da anima e corpo e domanda quale dei due sia lo schiavo dell’altro. Comprendiamo dunque che dietro il ricordo della schiavitù nel brano della Parashà, si cela in realtà un messaggio profondo e molto attuale.
Nell’epoca in cui l’immagine conta più del contenuto e l’esteriorità viene apprezzata maggiormente rispetto all’interiorità, Rabbi Nachman ci ricorda che il compito del corpo è quello di essere schiavo dell’anima. E non viceversa. Il corpo è formato di materia e per tanto è limitato, è finito. L’anima invece è infinita.
Rabbi Nachman ci insegna a valorizzare l’interiorità, ci invita a rendere la nostra anima padrona di noi stessi e del nostro corpo. Ci spiega che la schiavitù non è solo uno stato di inferiorità rispetto a qualcun altro, ma talvolta anche rispetto a noi stessi.
Questo è il motivo per il quale la schiavitù in Egitto viene ricordata prima dell’entrata del popolo ebraico in Terra d’Israele. Nella Terra del latte e del miele, la terra dell’abbondanza. Il corpo vorrà forse prendere il sopravvento e governare sovrano, ma sarà lo spirito a doverlo guidare giorno per giorno.
Anche in questi giorni di apparente schiavitù, ancora chiusi nelle nostre case, dobbiamo ricordarci che potremo definirci persone libere finché il nostro animo lo sarà.
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