“Obbedite al cuore, non ai superiori”

Giovanni Palatucci

di David Fiorentini

 

In uno dei momenti più travagliati della storia italiana, di fronte all’ingiustizia delle leggi razziali, un giovane questore fiumano, ritrovatosi con una certa libertà d’azione all’interno del Partito Fascista e dell’organizzazione cittadina, decise di sfruttare la propria posizione per “fare un po’ di bene”. Si chiamava Giovanni Palatucci, e per anni trasferì ebrei di varie nazionalità nel campo di internamento di Campagna, in provincia di Salerno; qui, grazie all’aiuto di un suo zio vescovo, gli scampati all’avanzata nazista poterono godere di protezione e solidarietà.

La sua missione divenne ancora più complessa dopo l’8 settembre, ma che andò avanti finché le SS non intercettarono i suoi contatti con l’Italia di Badoglio, condannandolo all’ergastolo. Pena che scontò nel campo di concentramento di Dachau, dove morì di stenti il 10 febbraio 1945.

Dopo la Guerra, furono numerose le testimonianze che fiorirono in ricordo delle nobili gesta del questore fiumano. Queste portarono nel 1990 al suo riconoscimento di Giusto tra le Nazioni da parte dello Stato d’Israele, al conferimento della Medaglia D’Oro al Merito Civile da parte del Presidente della Repubblica nel 1995, e alla qualifica di Servo di Dio da parte di Papa Giovanni Paolo II nel 2004.

In una delle lettere di Palatucci ai suoi familiari, fa scalpore in particolare un passaggio relativo alla sua permanenza a Fiume: “I miei superiori sanno che, grazie a Dio, sono diverso da loro. Siccome lo so anche io, i rapporti sono formali, ma non cordiali. Non è a loro che chiedo soddisfazioni, ma al mio lavoro, che me ne dà molte. Ho la possibilità di fare un po’ di bene.”

È proprio questa la grandezza di Palatucci: la capacità di opporsi al male che gli viene imposto di fare dall’alto. Hannah Arendt parlava della “banalità” del male, di come sia insito nella quotidianità e nella semplicità degli ordini dei superiori. Teoria dimostrata dallo scienziato americano Stanley Milgram, che nel 1961 evidenziò la propensione umana a seguire le direttive imposte dai capi, piuttosto che agire secondo i propri istinti.

“Se c’è una lezione da imparare dalla Shoah – spiega lo psicologo canadese Jordan Petersonè che chiunque avrebbe potuto essere un nazista”. È inutile illudersi che se fossimo stati nei panni dei cittadini italiani, tedeschi o polacchi di quel tempo saremmo stati migliaia di coraggiosi Schindler. Nelle condizioni di allora, la maggior parte di noi sarebbe rimasta indifferente, qualcuno avrebbe persino collaborato con i nazisti. Per questo la scelta del giovane questore è stata ancora più significativa: mettere in dubbio l’autorità del regime, superare la ferrea disciplina con cui è stato cresciuto, ignorare le pressioni sociali, sono qualità estremamente rare, che in modo straordinario capovolgono la banalità del male, concedendo spazio alla luce del bene.

Educare il prossimo al senso critico, all’indipendenza, a “fare quello che il cuore e la nostra religione ci dettano”, come scriveva Palatucci, è la nostra vera missione. E dobbiamo farlo in particolare tramite il ricordo di eroi come lui, che decisero di difendere questo principio fino all’estremo sacrificio.


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