“Non controbattere non è vigliaccheria, è saggezza” – Dialogo con Lia Levi
Lia Levi, scrittrice e giornalista, cofondatrice di Shalom insieme a Luciano Tas, offre la sua prospettiva personale sull’aumento di atti antisemiti nel mondo in seguito all’attacco del 7 ottobre. L’esperienza personale e la dedizione all’educazione, con numerosi libri di successo per ragazzi e adulti, fanno di Lia Levi una voce autorevole in questo periodo drammatico di guerra in Israele. Hatikwa l’ha incontrata per condividere assieme riflessioni sull’attualità.
Dopo l’attacco del 7 ottobre in gran parte del mondo c’è stato un forte incremento di atti antisemiti, verbali e fisici. Cosa sta succedendo, da dove deriva questa nuova ondata di odio e quali sono le differenze rispetto al passato?
L’assalto del 7 ottobre è stato così clamoroso, così tragico che non ha potuto non far piombare in uno stato di shock non solo gli ebrei, ma anche gran parte dell’opinione pubblica mondiale. Ma è durato poco. Passate appena poche ore tutto si stava già rovesciando. Mentre gli ebrei piangevano sconvolti i loro morti, l’opinione pubblica stava già prendendo le distanze i ‘ma’, ‘però’, ‘le colpe di Israele’, le ‘sofferenze dei palestinesi’ avevano occupato la loro privilegiata area di estensione. Pensiamoci un momento. Quando si tratta di un accadimento troppo tragico si dovrebbe dar tempo ad una elaborazione interna. Dalla mente che l’ha appena recepito è necessario lasciare giusto e adeguato spazio all’espandersi della propria emotività. Si riflette e si sente. Così dovrebbe funzionare l’essere umano. Come dicevamo non è successo niente di tutto questo. Anzi, con una rapida svolta ha preso inizio una campagna politica che è andata sempre di più caricandosi. I sostenitori che, ad ogni costo e fuori di strutturati ragionamenti, si sbracciano per la causa palestinese ne hanno tratto profitto per caricare la loro campagna di odio. Ormai non si parlava più di “nemici israeliani” ma si indicava come oggetto su cui agire “direttamente gli ebrei”. Ecco la differenza con il passato: si è lacerato il velo che cercava di mascherare l’antisemitismo chiamandolo antisionismo. Lo stato nemico è diventato l’insieme del popolo ebraico.
Nel massacro Hamas sono stati assassinati 1400 civili e rapiti 240 ostaggi, tra questi anche molti bambini. Lei scrive di ragazzi e ragazze, e con la narrativa ha indagato le emozioni dei più giovani durante la Seconda guerra mondiale. È possibile fare un confronto?
Quando muore un bambino è comunque una tragedia. E non ci si riferisce solo ad azioni di guerra. Pensiamo per esempio a quelli affogati dai barconi di migranti che non sono stati salvati in tempo o che nessuno ha voluto salvare e ai ragazzini ucraini rapiti e spariti nelle steppe russe. Di loro neanche si parla più. Ci sono poi le catastrofi naturali come i terremoti, gli allagamenti, è sempre un grande dolore. Ma il 7 ottobre non è accaduto qualcosa di casuale. I carnefici sono entrati nelle case e volontariamente hanno infierito sui bambini di tutte le età compresi anche i neonati. Ecco perché è lecito e possibile il confronto con la Shoah.
Luciano Tas in «Israele: 21 domande, 21 risposte» scrive che “Chi si fa saltare insieme ai ragazzi che ballano o agli avventori di una pizzeria o tra i banchi di un mercato non compie alcuna azione eroica né tutela un onore che così anzi viene offeso e calpestato”. Ancora oggi si parla di terroristi di Hamas come di eroi della resistenza. La risposta di Tas è ancora attuale o aggiungerebbe qualcosa?
La considero più attuale perché parla di eccidi su ragazzi che ballano e avventori e avventori in pizzeria e tra i banchi di un mercato. Parlare di Hamas come di eroi della resistenza è quasi una bestemmia. Il terrorismo non è patriottismo. Attaccare non un nemico in guerra ma la popolazione civile non è un’impresa eroica. Il patriottismo è battersi per la propria patria con motivazioni giuste e ideologiche, non uccidere volontariamente e con odio civili innocenti.
Come spiegherebbe a un bambino italiano l’importanza di non odiare il prossimo a prescindere dalla propria religione? Come si può raggiungere non una semplice tolleranza ma l’accettazione del diverso?
Non si convince nessuno, tantomeno i bambini, propinando lezioni, paragoni o ragionamenti che si affidano solo all’informazione storica. Il mio modo personale di procedere è affidarsi ad una storia privata attraverso un libro o storie raccontate direttamente da chi le ha vissute. È così che scatta un processo di identificazione. Il bambino si sente “quel personaggio”, vive il suo pericolo, fa il tifo per la sua salvezza. Primo Levi sosteneva che il fine della comprensione vale più una singola Anna Frank che milioni di ebrei che sono rimasti nell’ombra. È così che si struttura la sensibilità e si fanno propri piano piano i valori della vita.
L’odio per gli ebrei, l’antisemitismo non fanno parte dei bambini e dei più giovani che lo possono assimilare da adulti. Cosa cambia crescendo?
I bambini ripetono quello che sentono dire a casa o a scuola dai compagni. Anche i più piccoli ripetono frasi come “gli ebrei sono tutti ricchi” e “i palestinesi sono tutti poveri”. In questo momento anche nelle scuole superiori corrono voci di attacco contro Israele e più generalmente sugli ebrei che derivano da slogan, da frasi fatte non confrontate con la vera realtà. I bambini vanno seguiti da vicino ed educati con cura. Non è vero che nascono “buoni”. All’inizio della vita il vincente lascia una selvaggità istintiva, si picchia in testa un nuovo fratellino, ci si impadronisce di giocattoli altrui. Educare alla bontà, alla generosità, è questo il compito di chi li cresce.
Come vede il futuro per un giovane ebreo italiano?
Formulare un giudizio adesso è cosa molto triste. Siamo in un momento terribile e ci sembra quindi che anche il futuro sia altrettanto terribile. Attacchi antisemiti nelle scuole, soprattutto negli istituti in cui si crede di far politica ma dove in realtà si spaccia proselitismo e frasi fatte. Quando c’è un’ondata così negativa se non si sfocia in qualcosa di peggio può succedere che l’onda piano piano rientri. Anche in passato ci sono stati dei momenti di punta molto gravi. Se la situazione si stabilizza in qualche modo in Medio Oriente questa ondata è destinata a scemare. Partendo da questo presupposto, da una piattaforma già più serena, potremmo valutare cosa fare. Se invece affondiamo nel precipizio della guerra, purtroppo sarà precipizio per tutti.
Nelle università, luoghi dove un giovane forma il proprio pensiero critico e si confronta con i propri coetanei, ci sono state alcune delle manifestazioni eclatanti di antisemitismo. Cosa consiglia ad un giovane che si può trovare coinvolto in situazioni e conversazioni ostili?
Forse in questi periodi di punta negativa non è il caso controbattere e contrattaccare. Non è mancanza di coraggio, è solo perché non si otterrebbe nulla di fronte a ragazzi fortemente ideologizzati all’insegna di slogan e stereotipi. Non rispondere non è vigliaccheria, è saggezza. È rinchiudersi in se stessi per rinvigorire i propri valori. Questi giovani si troveranno così più forti quando, come speriamo e come spesso avviene, tornerà la ragione che tornerà ad occupare il suo giusto e sacrosanto spazio nella società.
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