Noi…e gli “altri”

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di Cesare Terracina

 

Non c’è pulsione senza oggetto: questo è quanto sosteneva Melanie Klein (1952), celebre psicoanalista austriaca pioniera nell’ambito della psicoanalisi infantile, che concentrò il nucleo delle proprie teorie nell’importanza della relazione col prossimo.

Proprio sulla base di questa teoria, il Tempio Bet Michael ha ospitato “Noi e gli altri”, un dibattito che ho avuto il piacere di sviluppare col Morè Eitan Della Rocca grazie alla collaborazione dello staff di Tiferet Chaim.

Secondo Klein, fin dal principio il nostro mondo interiore e la nostra mente si popolano di “oggetti”, cioè di rappresentazioni – più o meno inconsce – che noi stessi facciamo degli altri e delle relazioni che creiamo con loro. Allora ci siamo chiesti: quanto è importante la relazione con il prossimo?

John Bowlby con la sua “teoria dell’attaccamento” ci rivela una verità apparentemente banale, ma di estrema importanza: fin dal principio, l’essere umano ricerca il legame con l’altro, fondamentale non solo per la sopravvivenza fisica (come la madre per il bambino) ma anche – e soprattutto – per la sua sopravvivenza psichica ed emotiva. Il bambino ha bisogno della figura di attaccamento per nutrirsi e per sentirsi accolto nei suoi bisogni, necessità e stati emotivi: per sentirsi come individuo autonomo e per riconoscersi, conseguentemente, come tale. Quest’ultimo è il presupposto necessario per la formazione della sua identità.

Di legami affettivi l’essere umano sembra avere dunque un importante bisogno, senza però doverne dipendere. Infatti, come spiegano vari autori, uno dei principali compiti psicologici che ognuno di noi é chiamato a svolgere sin dall’infanzia é proprio il raggiungimento dell’indipendenza sana: saper entrare in una relazione di dipendenza reciproca con l’altro senza perdere, nel legame, i confini della propria identità.

La stessa letteratura scientifica ci dice che, davanti ad un evento traumatico, a riprendersi “meglio” sia tendenzialmente quell’individuo che si ritrova con un maggior supporto sociale, di natura familiare ed amicale (ovviamente ci sono altri fattori da prendere in considerazione!).
E comunque non serve il concetto di trauma per dimostrare il bisogno che abbiamo del prossimo: quante volte abbiamo avuto bisogno di una parola o di un abbraccio in più?

La celebre canzone “Supereroi” di Mr Rain recita: “Non puoi combattere una guerra da solo; a volte chiedere aiuto ci fa paura, ma basta un solo passo come il primo uomo sulla luna”.
É vero: a volte chiedere aiuto fa paura, imbarazza. Temiamo che l’altro possa rifiutarsi di aiutare, percependoci come un peso. Ma tra le tante cose che la psicologia cerca di insegnare c’è proprio questo: viviamo psichicamente ed emotivamente nel contesto delle relazioni affettive che ci legano alle persone incontrate nella nostra vita. É su questi legami che dovremmo imparare a contare.

In quanto esseri umani non siamo esenti da ansia, depressione, sintomi del comportamento alimentare, insonnia e traumi. Non siamo esenti dal dolore, che a volte abbiamo l’errata convinzione, forse “narcisistica”, di poter affrontare da soli. Non é così: possiamo sì farcela da soli, ma con le energie che gli altri, le persone che ci vogliono bene, ci prestano.

Bisogna imparare a chiedere aiuto, e a far sì che gli altri sappiano di poter contare su di noi. Cerchiamo di essere per l’altro l’abbraccio, la pacca, la chiamata e la parola in più. E persino quel silenzio in più: perché spesso per aiutare chi soffre non c’è bisogno di grandi gesti o di grandi parole.

“Basta” un silenzio, un silenzio autentico, di quelli che mostrano presenza, di quelli che cercano di inviare un messaggio: “Sono qui con te, disposto ad ascoltarti”. Quei silenzi che, forse, permettono anche a chi soffre di ascoltarsi meglio.

 


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