Nel Quartiere ebraico di Roma la marcia silenziosa in memoria del 16 ottobre 1943
di Sara Menascì
Procediamo in silenzio, lentamente, mentre i giovani dei movimenti ebraici leggono oltre 1200 nomi, di uomini e donne. Di alcuni conosciamo le storie, di altri solo il nome, ma nelle nostre menti tutti questi assumono volti e figure. La lista sembra essere infinita. È il 13 ottobre 2024 e stiamo camminando sulle stesse strade da cui, all’alba del 16 ottobre 1943, gli ebrei furono strappati dalle loro case, separati dalle loro famiglie dalla furia nazita e deportati verso i campi di sterminio. Ogni anno, ormai è un appuntamento stabile, ci si raduna fra le vie del Quartiere ebraico per mantenere viva la memoria. “Non siamo tanti, ma nemmeno pochi, per una società che ci vorrebbe in declino” esordisce Elvira Di Cave, fra gli organizzatori dell’evento, aprendo la cerimonia. Poi il presidente della Comunità Ebraica di Roma Victor Fadlun: “Dal sangue dei nostri genitori e nonni è nata una nuova consapevolezza, quella di difenderci da chi ci minaccia. Oggi esiste Israele, ed è finita l’epoca degli ebrei che abbassano la testa e subiscono in silenzio. Intere famiglie rigogliose lottano per il nostro onore e la nostra identità.” Dai ricordi ormai scolpiti nella memoria collettiva, il pensiero vola a Israele, agli ostaggi che, come in quel terribile 16 ottobre, sono stati brutalmente strappati dalle loro case, massacrati senza distinzione di sesso o età. Come il piccolo Kfir Bibas di soli due anni o Shlomo Mansour, sopravvissuto alla Shoah, che attendono d’essere liberati dai tunnel di Hamas. Durante il corteo silenzioso, il presente si intreccia con la storia: ci sono anche i due testimoni della Shoah, Sami Modiano e Tatiana Bucci, commossi alla vista dei giovani studenti della scuola ebraica:” Questi bambini così numerosi mi riportano indietro nel tempo, a Birkenau. Io ho avuto la fortuna di sopravvivere e spero che anche loro possano crescere, avere figli e nipoti. I nipoti sono la prova che, nonostante tutto, la vita continua. Non dimenticherò mai l’epoca buia del nazifascismo, ma auguro a tutti una vita serena e piena di gioia, come quella che ho avuto io dopo la guerra.” Con voce rotta dall’emozione, anche Sami Modiano, avvolto nella bandiera di Israele come un talled, si aggiunge: “Oggi il Padre Eterno ha voluto che fossi qui, a questa marcia silenziosa. Ringrazio la Comunità per avermi sempre fatto sentire parte di questa grande famiglia, per aver incluso anche il nome di mio padre Giacobbe e di mia sorella Lucia in questo momento di ricordo.” E, con dolore, conclude: “Sapete che ho vissuto grandi sofferenze, ma negli ultimi giorni si è aggiunto un nuovo dolore, quello del 7 ottobre. Anche questo dobbiamo ricordare.” Segue il rabbino capo di Roma, Rav Riccardo Di Segni : “Ciò che è accaduto in passato deve guidarci nel presente. Siamo qui per ricordare, insegnare e comprendere le dinamiche del mondo attuale. Quanto sta accadendo è un campanello d’allarme per la nostra coscienza ebraica, non solo in termini di sicurezza, ma anche di consapevolezza.” Il silenzio nella Sinagoga, dove ci si sposta a margine dell’evento per le preghiere di rito, è assordante. Un ossimoro. Un silenzio interrotto dal coro della scuola ebraica che intona “Ani Maamin” – “Io credo”. Allora la cerimonia giunge al termine: tutti insieme, coesi nella speranza, cantiamo l’inno “Hatikvah”. Nonostante tutto, siamo uniti. La memoria continua.
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