Marc Chagall, in una mostra da non perdere
di Valentina Cognini
Né la Russia imperiale, né la Russia dei soviet hanno bisogno di me. Io sono incomprensibile per loro, straniero. […]
E forse l’Europa mi amerà e, insieme a lei, mi amerà la mia Russia.
È con questa riflessione tratta dalle sue memorie che esordisce Marc Chagall. Anche la mia Russia mi amerà, una mostra ospitata nella sede di Palazzo Roverella, a Rovigo, prorogata fino al 14 marzo 2021, che ha finalmente riaperto dopo settimane di chiusura. Sono circa settanta le opere esposte, tra cui ritroviamo illustri prestiti provenienti dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, dal Centre Pompidou di Parigi, dalla Thyssen Bornemisza di Madrid e da storiche collezioni private.
L’inedita retrospettiva, curata da Claudia Beltramo Ceppi Zevi, analizza il profondo legame tra il pittore Marc Chagall, all’anagrafe Mark Zacharovič Šagal (1887 – 1985), e la sua terra natale, l’attuale Bielorussia, attraverso due sezioni che narrano un rapporto fatto di luci e di ombre, di un prima e un dopo l’esilio. La prima parte ci guida attraverso una ricostruzione della memoria dell’artista, grazie all’individuazione degli elementi appartenenti alla sua infanzia e al contesto dello shtetl, il villaggio in cui abitavano gli ebrei russi fino al primo conflitto mondiale. La seconda parte, invece, punta a un’analisi iconografica e stilistica di questi elementi per ricollegarsi ai temi e ai simboli cari al pittore. Nonostante una crescita artistica che lo vede avvicinarsi alle avanguardie europee del Novecento, è inevitabile ritrovare nelle opere del pittore chiari riferimenti alle icone russe e alla tradizione chassidica di cui è figlio.
Nella sua produzione, gli echi della favolistica russa e della cultura ebraica sono presenti fin dalle prime tele, pregne di una memoria culturale e spirituale abitata da animali fantastici, creature fluttuanti e villaggi capovolti. Le atmosfere dello shtetl, le tortuose strade innevate e la raffigurazione degli animali e degli strumenti tipici del lavoro della terra, sono solo alcuni degli elementi chiave che trasmettono il senso di una continuità intellettuale e affettiva che negli anni l’artista intesse con la sua città natale, intimamente vicina ma fisicamente lontana; essa è simbolo di un esilio anche emotivo, che caratterizza la condizione dell’ebreo errante, di cui Chagall è l’esempio più significativo.
Le atmosfere dello shtetl sono ben presenti nelle opere come Il cortile del nonno (1914) e Studio per La pioggia (1911). Queste rappresentazioni giovanili, oltre a ritrarre il contesto in cui l’artista è nato e cresciuto, sono chiaramente ispirate alle stampe popolari russe, dette lubki, e quindi a un substrato di cultura raffigurativa di radice slava, a cui il pittore aveva attinto nei primi anni della sua formazione artistica.
Un primo esempio della tensione che lacera il pittore riguarda l’opera Autoritratto davanti a casa (1914), in cui Chagall si rappresenta come un giovane in eleganti abiti occidentali immerso nel contesto del tradizionale villaggio russo. Nonostante il talento artistico e il tormentato destino che lo porteranno a Parigi e, più tardi, negli Stati Uniti, Chagall attesta con quest’opera la sua intima appartenenza alla cittadina natale. Colori innaturali, proporzioni alterate e contorni indefiniti preannunciano quella che sarà la visione sognante e, per certi aspetti, primitiva di Chagall, il cui stile non deriva dallo studio, ma dall’istinto e dalle emozioni vissute in prima persona.
Pellegrina e figlia di nessuna corrente in particolare, la poetica di Chagall si identifica piuttosto con un sentire personale e allo stesso tempo universale, che scaturisce da un condivisibile senso di precarietà e malinconia tipico dell’alba del nuovo secolo, e che attraversa in particolare il mondo ebraico. Il rapporto con la città natale rimane una questione irrisolta per Chagall, ed è anche attraverso l’amore per la compagna Bella Rosenfeld che l’artista tenta di riconciliarsi con il suo passato. I due si incontrano nel 1909 a San Pietroburgo: lui è un giovane artista di 23 anni, “un sognatore con lo sguardo di una volpe negli occhi azzurro-cielo”, lei una brillante e promettente studentessa di 14, “dalla pelle d’avorio e dai grandi occhi neri”.
Tra i due è amore a prima vista: la loro unione si trasforma in un sentimento indissolubile e appassionato, un fil rouge che percorre tutta la vicenda artistica e personale del pittore. La celebre opera in mostra La Passeggiata (1917-1918) ne è una delle espressioni più alte: di formato quadrato, il dipinto, realizzato con la tecnica a olio, rappresenta una tenera scena di quotidianità che trasmette con grazia l’emozione di un amore ricambiato. In un momento di spensieratezza, la donna si libra in volo e porge la mano al suo amato, visibilmente felice.
I due sono immersi in un contesto naturale che lascia intravedere il profilo degli edifici e della Sinagoga di Vitebsk. In basso, la coperta rosso carminio e la bottiglia di vino alludono all’ebrezza del sentimento amoroso, sottolineato dal canto dell’usignolo che il protagonista stringe tra le mani. La scomposizione delle forme rimanda agli influssi dell’arte cubista, mentre l’utilizzo di colori saturi e brillanti fa pensare alla lezione di Matisse e del fauvismo, con cui Chagall è entrato in contatto durante i suoi primi soggiorni parigini.
La scelta delle tinte e il significato degli accostamenti affondano le loro radici anche nel simbolismo chassidico, come possiamo notare anche nell’opera L’ebreo in rosso (L’ebreo in rosa) (1915). Il color oro dello sfondo richiama la preziosità delle icone russe, il verde del primo guanto esprime il senso della malattia e la mano bianca la luce divina e la speranza. Il simbolismo di Chagall diventa più affascinante man mano che si prosegue la visita tra le sale della mostra e tra le pieghe del suo animo.
Il villaggio ebraico, oltre a essere un riflesso delle sue memorie infantili, ben presto diventa uno spazio di riflessione interiore, un “non luogo” sospeso tra realtà e immaginazione, in cui bellezza e orrore convivono. Nella cornice del villaggio innevato, Chagall dà sfogo a paure e pensieri notturni di stampo universale, che fanno da eco alla profezia già presente nell’inserto circolare scritto in ebraico che circonda il protagonista de L’ebreo in rosso (L’ebreo in rosa). Come uno spazio di confine e di marginalità, privo di regolarità e di regole prospettiche, il villaggio si presenta come una scomposta sovrapposizione di piani che sintetizza con drammaticità gli incubi che animano le notti chagalliane.
Nell’opera Gli amanti legati al palo (1951), su un inquietante sfondo nero si stagliano a sinistra le figure dei due amanti che si stringono e si proteggono l’un l’altra, quasi un riferimento all’iconografia del Cristo crocifisso, presente anche nelle opere Cristo e il pendolo (1956) e Crocifissione Bianca (1938).
Il gallo bianco e il vitello rosso, simboli di sacrificio e protezione, occupano gran parte della scena. I volti intensi ed espressivi delle due bestie rimandano al sodalizio che lega uomo e animale, natura e spiritualità. Al centro della scena, il villaggio capovolto segna il netto distacco dalle proprie radici; un’immagine che infrange qualsiasi regola spaziale per sottolineare che ormai la città non esiste più nel mondo reale, ma solo nel ricordo dell’autore. La piccola pendola in basso scandisce il tempo della vita umana e dei riti religiosi, e la sua caduta verso il vuoto, insieme all’immagine della nave, preannunciano l’esodo del popolo ebraico. In altro a destra, evanescente, compare probabilmente il giovane Chagall in preghiera, assistito dal padre.
Nelle sue ultime opere, notiamo invece un ritorno alle icone attraverso la raffigurazione alle cosiddette “albe”, di cui parla anche lo studioso Michel Draguet nel catalogo della mostra. Ispirate al registro figurativo slavo, le ultime tele di Chagall gettano un nuovo sguardo sul futuro, simbolo di un inarrestabile slancio vitale che contrappone il potere rigenerativo dell’arte alle sofferenze e ai sacrifici del mondo terreno.
Raffinato colorista, Chagall usa ampie campiture di tinte brillanti e carnali: il rosso cinabro che domina Villaggio con sole oscuro (1950) rimanda al dolore per la morte della moglie, ma anche al processo di purificazione che ne deriva. Nell’imponente tela Domenica (1952 – 1954), una prospettiva inversa ribalta i piani conferendo alle ultime tele una leggerezza sovrannaturale. I ricordi del passato si sovrappongono al panorama di Parigi e, quindi, alle prospettive del presente. Mondo terreno e fenomeni invisibili entrano a far parte di un unico cosmo che forgia la realtà poetica del mondo.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.