Malesia, un melting pot di antisemitismo e antisionismo

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HaTikwà (L.Clementi) – “Tutti i Campionati del Mondo devono essere aperti a tutti gli atleti e le nazioni idonee a competere in sicurezza e senza discriminazioni. Quando un paese ospitante esclude gli atleti di una particolare nazione, per ragioni politiche, non abbiamo assolutamente altra alternativa se non quella di cercare un nuovo ospite per i campionati”. Con le parole del Presidente del Comitato Paralimpico Internazionale (IPC) Andrew Parsons si è finalmente conclusa la Questione Malesiana. Riassumendo in breve: la Malesia avrebbe dovuto ospitare i Mondiali Paraolimpici di nuoto tra il 29 luglio e il 4 agosto dell’anno corrente, ma a seguito della decisione di non accettare la delegazione israeliana date le “reiterate umiliazioni subite dagli abitanti di Gaza e della Cisgiordania ad opera dell’esecutivo Netanyahu”, la manifestazione non si svolgerà più lì. Il mio ultimo articolo per HaTikvà trattava dell’avanguardia sportiva israeliana, in barba ai boicottaggi e alle manifestazioni di antisionismo. Neanche il tempo di inviarlo per la pubblicazione che esce la notizia dell’esclusione della delegazione. Non potevo non proseguire il discorso, ma ho ritenuto opportuno farlo a bocce ferme, finiti i tumulti e chiusa la questione, per precisare alcune cose che, a mio avviso, il lettore deve sapere.

In primo luogo, il contesto sociale malese è veramente incredibile. La popolazione è formata principalmente da malesi (50,1%), cinesi (22,6%), Orang Asli (11,8%), indiani tamil (6,7%), poi altre etnie minoritarie (8,8%). Le religioni professate sono: l’Islam (63,7%), il Buddismo (17,7%), il Cristianesimo (9,4%), l’Induismo (6%), il Confucianesimo, il Taoismo e la Religione tradizionale cinese. Tutto questo per dire che l’enorme melting pot che si respira nel paese potrebbe avere come conclusione naturale una situazione di convivenza e di tolleranza ad ampio raggio. Potrebbe. Infatti è esattamente l’opposto: i malesi sono essenzialmente musulmani, l’Islam è religione di Stato e (neanche a dirlo) la popolazione di etnia malese è l’unica a godere di pieni diritti politici e civili. Ora che il lettore può non sorprendersi più di nulla, possiamo cominciarlo ad erudire su ulteriori fatti: l’esclusione israeliana dai Mondiali si inserisce all’interno di un contesto davvero difficile. Saifuddin Abdullah, Ministro degli Esteri di Kuala Lumpur, ha recentemente affermato che il proprio paese non accoglierà più israeliani, poiché “le brutalità’” perpetrate ai danni dei Palestinesi avrebbero “superato ogni limite’”. Abdullah ha inoltre definito “un brutale attentato alla verità storica, promosso da una cricca revisionista appoggiata da Netanyahu” la decisione presa da alcuni Stati di riconoscere Gerusalemme come Capitale unica e indivisibile dello Stato d’Israele.

Il quadro che ne esce è paradossale: la Malesia critica l’operato di Netanyahu per le azioni perpetrate ai danni del popolo palestinese, ma dall’altra parte non tutela i diritti politici e civili della totalità dei propri abitanti. La Malesia invoca la violazione dei diritti umani, ma dà il grande esempio di tolleranza chiudendo i propri confini agli israeliani e non consentendo loro nemmeno la partecipazione ai Mondiali Paralimpici. Antisionismo, ecco cos’è. Per questo non hanno rapporti diplomatici con lo Stato d’Israele. E guai a parlare di antisemitismo, è solamente una giusta reazione nei confronti di uno Stato oppressore. Poi la Malesia può capire la situazione: anche loro sono stati oppressi, dai britannici. Però un’occhiata per vedere se ci sono state azioni antisemite da parte del Governo malese la si dà comunque. Per buona fede. Mahathir Mohamad, Primo Ministro malese. Oltre 20 anni di Governo, il più longevo della loro storia a parte una breve parentesi dal 2003 al 2018. Il politico scrisse nel 1970, in un suo libro: “Gli ebrei non hanno solo il naso grosso, vanno anche istintivamente verso i soldi”. Poi, in un discorso nel 2003: “Un miliardo di musulmani non può essere sconfitto da pochi ebrei. Sono orgoglioso di essere chiamato antisemita. Come posso non esserlo, quando gli ebrei parlano così spesso degli orrori che hanno sofferto durante l’Olocausto e poi mostrano la stessa crudeltà dei Nazisti”. Continua lo sproloquio lo scorso agosto: “Dovremmo essere in grado di criticare tutti. L’antisemitismo è un termine che è stato inventato affinché gli ebrei non siano criticati per aver commesso cose sbagliate.’’

Al lettore i fatti. Al lettore le conclusioni.


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