L’oro nelle crepe è la vita – Intervista a Noà Milano, autrice di ‘’Mosaico dolente’’
‘’L’oro nelle crepe è la vita’’. Questo ci racconta Noà Milano, 19enne di Roma che ha da poco pubblicato il suo libro di poesie ‘’Mosaico dolente’’. È l’oro che ricostruisce un piatto rotto, lo trasforma. Così è il viaggio che ha affrontato, ma che caratterizza un po’ tutti noi.
Che cos’è ‘’Mosaico dolente’’?
È la concretizzazione di un’esigenza, il mio modo di analizzare il problema prima di affrontarlo. Ho iniziato a scrivere queste poesie tra i 16 e i 17 anni, quindi prima che venisse a mancare mia madre. Per questo si tratta di un vero e proprio viaggio. La scrittura mi ha permesso di non implodere, di tirare fuori.
Cosa ti ha spinto ad iniziare?
Una sera, frustrata dal momento che stavo vivendo, ho deciso di buttare giù un pensiero e, non so perché, ho scelto di farlo attraverso la poesia. Non ho mai avuto dei diari: scrivere è sempre stato un modo per esprimermi, ma lo faccio solamente quando sono pronta ad affrontare la concretizzazione di un mio pensiero. In alcuni casi è qualcosa che ho elaborato nel corso del tempo, mentre in altri arriva lì sul momento. In pratica rendo tangibili dei ragionamenti che in un certo senso non sapevo di avere o che percepivo ma non ero in grado di inquadrare. Mi serve per riuscire a capirmi di più. Ciò che ho scritto peraltro non era nemmeno concepito per la pubblicazione.
E come si arriva quindi al libro?
Ci sono arrivata per caso. Questo lo rende molto più autentico. Era passato meno di un mese dal lutto, ho letto su internet che la casa editrice ‘’Gruppo Albatros Il Filo’’ aveva indetto un concorso di scrittura e ho deciso di mandare le poesie. Non avrei mai pensato che sarebbero stati interessati, e invece mi hanno contattato e mi hanno proposto di scrivere un libro. Ho deciso di accettare perché si trattava di un progetto in cui investire, qualcosa che potesse darmi soddisfazione in un periodo in cui non credevo neanche di voler continuare il mio percorso universitario. Mi ha permesso di uscire dagli schemi ed evadere dalla realtà.
Un bel passo. Ma le poesie sono esattamente come le hai scritte o hai cambiato qualcosa per poterle pubblicare?
Non ho mai stravolto nulla, perché ricordo il momento in cui le ho scritte e come mi sentivo. Ho cambiato giusto alcune scelte stilistiche e ho aggiunto due poesie per dare una rappresentazione coerente e completa del mio percorso. Questo chiaramente non è minarne l’autenticità: rappresenta comunque l’interazione tra la me di allora e di adesso.
Che poi è il filo conduttore del libro. La tua evoluzione come persona.
Il fatto che lo stia pubblicando ora non è un caso: è l’idea della chiusura di un capitolo. La malattia di mia madre è durata 13 mesi e ha richiesto un passaggio repentino da una dimensione bambina ad una adulta, ed è stato faticoso, perché ho avuto la sensazione che mi siano stati rubati degli anni di leggerezza. Penso e conduco la mia vita come una persona più grande della mia età.
Un esempio di questo scarto di pensiero?
Le poesie sulla conflittualità con i genitori, che ho scritto prima della malattia. Mi sono sentita nemica della mia carne: il legame con il genitore fa parte di te, è nel tuo sangue. Crescendo, però, inizi ad avere un tuo pensiero, la necessità di ribellione, e quindi è come se diventassi nemica di te stessa. Doversi confrontare con la contrapposizione tra amore e conflittualità è tipicamente adolescenziale. I nostri genitori, per quanto criticabili, spesso sono parte del nostro futuro, quello che noi saremo. Secondo me ci sono due modi per reagire ad un’educazione: il primo è opporsi completamente al modello, mentre l’altro, forse più comune, è quello di riprodurre determinati comportamenti.
Dopo aver vissuto questo cambiamento interiore, cosa diresti ad un adolescente in conflitto coi genitori, ora che tua madre non c’è più?
Gli direi che è giusto così. Ti permette di apprezzare determinati cambiamenti, di scoprirti. Una delle cose più tristi che mi capita di vedere in giro sono i figli fatti con lo stampino. Si vede dalle opinioni che hanno, da come parlano o come si vestono. Non che si debbano rinnegare i genitori, ma una delle cose più importanti della vita è imparare a ragionare con la propria testa. Dobbiamo interfacciarci con il mondo, e il primo sbocco con quello degli adulti sono i genitori, è quella la chiave di accesso. È giusto che diventino i nostri modelli, ma anche che guardiamo al loro comportamento in modo critico. Una cosa costruttiva si può fare è cercare di capire se in quel momento vale la pena discutere o cercare di affrontare la diversità di opinione attraverso uno scambio. A posteriori il rimpianto è impossibile che non ci sia, esiste ed esisterà sempre per quante cose tu possa fare. Il fatto è che la vita è un continuo rimpianto, perché piena di scelte.
E alla te prima di affrontare questo percorso cosa consiglieresti?
Di fare psicoterapia. La faccio da anni e credo che sia uno dei più grandi passi che una persona possa compiere per acquisire consapevolezza di sé stessa e del mondo che la circonda. La cosa importante non è arrivare alla scoperta, ma mettersi sul cammino giusto. Ognuno deve costruirsi la sua verità e serve quel pungiglione che ti stimoli a farlo.
Il titolo ‘’Mosaico dolente’’ nasce proprio dal concetto di ricostruzione di sé?
È lo stesso di una delle poesie del libro. Cercavo un punto in comune tra gli argomenti che ho affrontato. Le poesie sono personali, anche quando faccio considerazioni sulla collettività, ma il mio percorso è comune a tutti gli uomini. Ognuno di noi prima o poi diventerà un mosaico dolente, e per una qualsiasi ragione sarà costretto a ricostruire la propria vita. Non c’è un giudice del dolore, ognuno ha un motivo personale per farlo. Perciò ho scelto questa immagine per il libro: si tratta di un piatto ricomposto attraverso una tecnica giapponese (kintsugi) che prevede l’utilizzo di un metallo, come l’oro o l’argento. Non è possibile far ritornare l’oggetto com’era prima che cadesse in pezzi, ma si può impreziosirlo. Questo è l’augurio che faccio a me stessa e a tutte le persone che stanno combattendo.
Qual è il tuo oro nel piatto?
È la ricostruzione del filo logico di tutte le mie identità in un’unica, che è Noà. È la consapevolezza che è oro, non colla per riattaccare qualcosa che non ci sarà più. È l’evolversi del tempo, è la stessa vita.
Nel tuo processo di ricostruzione personale qual è stato il ruolo della tua famiglia, degli affetti e della società che ti circonda?
Ogni persona non è un’entità singola, ma è anche frutto delle persone e dell’ambiente che frequenta. Inizialmente ho avuto l’esigenza di isolarmi, di stare in silenzio, ma poi ho capito che sentivo il bisogno di riconnettermi con quello che sono in realtà, e questo comprendeva il rapporto con la famiglia, con gli amici, ma anche con la fede, dalla quale mi ero allontanata dopo il lutto. L’ebraismo in realtà permane in tutte le poesie, è uno dei mille frammenti di me che però sta anche in tutti gli altri.
Cosa vorresti lasciare a coloro che leggono ‘’Mosaico dolente’’?
Il libro è anche un tentativo di dare agli altri un libretto di istruzioni sulla mia persona. Mi auguro che chi mi conosce possa confrontarsi con me su quello che c’è dentro, e in generale chi lo legge possa mettere in discussione le mie parole o trovare il modo di cucirsele addosso. Questo faccio io quando leggo poesia.