L’OPINIONE | Il Caso De Lellis : una visione distorta della realtà
di Michal Colafranceschi
Quando la rinomata influencer Giulia De Lellis ha pubblicato sul proprio profilo Instagram una foto in Israele, in riva al Mar Morto, non poteva immaginare che sarebbe caduta in una voragine di insulti riguardo un conflitto che dura da oltre settantacinque anni, quello israelo-palestinese.
Non poteva aspettarselo, ma è accaduto. Sotto lo scatto, pochi minuti dopo la pubblicazione, si sono ammassati una sfilza di commenti che la accusano di far propaganda a un regime fascista e responsabile di un genocidio. Esattamente l’opposto della realtà israeliana, da sempre impegnata nel garantire diritti e libertà a chiunque.
D’un tratto sotto la sua foto sono apparsi finti storici ed esperti social di geopolitica, che creano la polemica anche quando non esiste.
Vittime della disinformazione, di un’informazione filtrata e dirottata da alcune campagne politiche che s’impegnano, quotidianamente, a fornire una visione distorta della realtà israeliana.
Cosi, con argomentazioni deboli o del tutto assenti, migliaia di persone si sono cimentate nell’attribuire ad Israele la connotazione di “Stato d’apartheid”, colonizzatore e razzista. Ignorando totalmente cosa Israele faccia per ribadirsi ogni giorno Stato di diritto. Per esempio, ha ratificato la Convenzione ONU sull’Eliminazione e la Repressione del Crimine di Apartheid, entrata in vigore nel 1969. È bene ricordare che Iil termine “apartheid” fa riferimento ad una politica di segregazione razziale vigente in Sudafrica nella seconda metà del XX secolo. Proprio per questo, utilizzandolo oggi in tale contesto, non solo si sminuiscono gli orrori della vera apartheid, ma si alimenta l’odio nei confronti dello Stato Ebraico.
I numeri e le percentuali parlano chiaro. Israele è popolata da uomini e donne provenienti da tutto il mondo, di ogni etnia e religione. Questi godono di tutti i diritti civili e (dove possibile) politici. E questa libertà è riscontrabile anche nei palazzi istituzionali, basti pensare alla presenza di partiti arabi nella Knesset. Nel marzo 2021la Lista Araba Unita (Ra’am ndr) ha ottenuto 4 seggi nel parlamento israeliano e nel giugno dello stesso anno è diventato il primo partito arabo indipendente a prendere parte ad un governo israeliano, quello Bennett-Lapid.
Allora sarebbe più opportuno chiedersi: al contrario, qual è il peso civile e politico degli israeliani a Gaza e in generale nei paesi arabi? Quante minoranze ci vivono liberamente? Prima del 2005, circa 8.000 israeliani vivevano a Gaza, che poi fu lasciata agli arabi per contrattare una pace mai arrivata. Lasciarono in quella terra: 42 centri assistenziali “day-care”, 36 asili, 7 scuole elementari, 3 scuole superiori, 38 sinagoghe e 166 aziende agricole. I palestinesi, rappresentati in maniera più o meno legittima da Hamas, si appropriarono di tutto, devastandolo e distruggendolo.
Appare dunque evidente che il termine “razzista” accostato ad Israele risulti del tutto improprio e infondato, oltre che frutto di un pregiudizio. Rimane la mera attività di diffusione di messaggi politici, attraverso commenti inaccettabili, sotto ad un semplice post Instagram pubblicato da una ragazza di soli 27 anni che non si è mai espressa in merito al conflitto tra israeliani e palestinesi. Il suo unico intento, come lei stessa sottolinea in una storia il giorno seguente, era quello di mostrare la sua vita e il suo viaggio. Il suo post si è trasformato in una valvola di sfogo per commentatori la cui unica preoccupazione è quella di alimentare la pericolosa campagna anti-israeliana. Come fosse una moda, una moda pericolosa.
Non leoni, ma iene da tastiera hanno fatto la loro parte: tutte insieme, contro una. Ma le tesi instabili, le argomentazioni deboli e i commenti “pacifisti” alla ricerca di likes hanno le gambe corte. L’informazione, quella corretta, vince sempre, almeno da 75 anni, da quando c’è lo Stato d’Israele.
Fonte foto: metropolitanmagazine.it
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