L’OPINIONE | Guerra in Medio Oriente, allarme del crescente antisemitismo

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Alla luce della recente tregua concordata tra Israele ed Hamas, con la mediazione di Egitto e USA, è necessario fermarsi e riflettere su quanto sia accaduto in tutto il mondo negli ultimi undici aspri giorni.

L’ondata di antisemitismo si è sviluppata in maniera esponenziale, e non solo nel web. La propaganda antisionista ha lanciato una campagna di disinformazione e boicottaggio ai danni di Israele, ponendola sul banco degli imputati con appellativi spregevoli come “usurpatrice di terre” – “nazista” – “Stato illegittimo”. Differente invece quanto supportato dall’ala prosionista che si è battuta sia a favore della risoluzione “due popoli due stati” sia contro il gruppo terroristico di Hamas, da cui non tutti hanno preso le dovute distanze. Molti lo hanno paragonato ad una forma di resistenza eguale a quella italiana all’epoca del nazifascismo – un insulto ai valorosi patrioti che hanno liberato il nostro paese da un’oggettiva ideologia distruttiva – mentre altri lo hanno giustificato sostenendo che rappresenti l’unica speranza per un popolo affranto come quello palestinese.

La realtà è che i cittadini di Gaza sono deboli ed impoveriti, ma non per una fantomatica occupazione israeliana non ben definita nel luogo e nei modi, bensì a causa della corruzione dirigenziale di chi tiranneggia su quel territorio, che investe i fondi in armi e depositi piuttosto che in infrastrutture e servizi pubblici. Hamas occupa la Striscia di Gaza dal 2006 e da allora ha causato l’inizio di tre conflitti contro Israele, rispettivamente Piombo Fuso (2009), Margine Protettivo (2014) e Guardiani delle Mura (2020). Il pretesto di quest’ultima guerra è stata la diatriba legale a Sheik Jarrah, un quartiere palestinese di Gerusalemme Est in cui i residenti di alcune case, intestate ad un’organizzazione israeliana, sono stati sfrattati a causa dell’inadempienza di pagamento. È bastata una scelta della Suprema Corte, tra l’altro lecita, per incitare all’odio e causare le tensioni sul Monte del Tempio, tramutate in razzi e raid aerei.

Quindi chiediamoci: possiamo davvero attribuire il Casus Belli ad uno sfratto o c’era un’ideologia antisionista ed antisemita che ha cercato il pretesto per agire? Nel resto del mondo la medesima questione giudiziaria si sarebbe risolta con un confronto pacifico in tribunale, e di certo l’affittuario inadempiente avrebbe perso la causa. Ma non è tutto. L’attacco che Hamas ha sferrato ad Israele è servito per consolidare il potere sulla Striscia di Gaza nei confronti dei rivali di Al-Fatah, il partito capeggiato da Abu Mazen, che ha rinviato le elezioni già assenti da quindici anni. Agli occhi della popolazione, Hamas ha dimostrato d’essere la maggiore potenza sul territorio e l’unica in grado di poter sfidare Israele a “favore della causa palestinese”. Questo perché l’andamento della guerra raccontato alla popolazione di Gaza è stato volutamente travisato, sostenendo di aver costretto gli israeliani nella paura all’interno dei bunker. Perciò i residenti si sono riversati nelle vie della città con fuochi d’artificio e grandi feste per commemorare un conflitto che, in realtà, Hamas sa bene di aver perso.

Nonostante la quasi riuscita saturazione dell’Iron Dome, Israele ha oggettivamente vinto lo scontro intercettando più dell’80% dei missili e colpendo centinaia di obiettivi strategici, così da rallentare il riarmo dei terroristi per lungo periodo. Se da una parte il mondo intero ha assistito ad un conflitto avvenuto nel lontano Medio Oriente, dall’altra la guerra si è combattuta anche nei Social Network ed è diventata il caso mediatico dell’opinione pubblica, le cui idee condivise via web hanno evidenziato il crescendo di un forte antisemitismo come non si era visto mai. La scusante del conflitto ha sdoganato l’insulto all’ebreo, trasformando la discussione politica in una di tipo razzista. Le parole sono diventate la matrice ideologica di azioni violente, come quelle avvenute a Lod, New York e Londra, città scenario di aggressioni ai danni degli ebrei e dei relativi siti di ritrovo. Sinagoghe bruciate, linciaggi e pestaggi. Per l’ennesima volta l’odio antisionista si è palesato essere quello antisemita. Il legame tra queste due forme d’intolleranza risulta evidente anche dall’analisi delle recenti manifestazioni a sostegno di Israele e della Palestina avvenute in Italia. Mentre quella prosionista è stata pacifica e sostenuta dalla presenza di numerosi politici, con lo scopo di mostrare solidarietà allo Stato Ebraico e richiedere la nascita di una nazione palestinese non soggiogata al terrorismo di Hamas, l’altra invece è stata ricca d’avversione riversatasi per le strade in maniera preoccupante e pericolosa. Si è gridato alla distruzione d’Israele ed alla morte degli ebrei anche attraverso l’inneggiamento dell’intifada. Parole che incitano all’aggressione fisica e che fanno rivivere quell’aria di tensione antisionista che si respirava negli anni ’80, quando venivano affissi striscioni con scritto “bruceremo i covi dei sionisti”. Un’istigazione che andrebbe denunciata e punita in quanto tale e che si separa dalla diatriba ideologico-politica per sostituirsi ad una pura forma di intolleranza.

Tutto questo per ribadire un concetto: chi colpisce un ebreo colpisce Israele. Carte in tavola, sembra evidente quanto sia vitale il riconoscimento della definizione IHRA che lega l’inscindibilità tra antisemitismo ed antisionismo, due facce della stessa medaglia. Ma come possiamo raggiungere un traguardo tale, quando la voce pubblica della televisione impedisce la corretta informazione? Social Media e TV hanno dato spazio ad una propaganda esclusivamente propalestinese che ha deviato la verità ed ha impedito ai molti, ignari della questione, di costruirsi una propria corretta idea sulla faccenda. Un fenomeno che ha coinvolto specialmente la rete televisiva di La7. Propaganda Live ha mandato in onda una faziosa puntata in cui è stata fieramente rivendicata un’identità con due simboli: Keffiah e Arafat. Com’è possibile che l’Italia appoggi la beatificazione di un uomo che si è macchiato di attentati terroristici come quello alle Olimpiadi di Monaco ‘72? Un siparietto simile è andato in onda con Atlantide e Piazzapulita, che hanno ospitato personaggi dichiaratamente propalestinesi senza che vi fossero delle contro voci. In conclusione, non bisogna confondere l’odio verso Israele con chi muove critiche nei confronti della sua politica, ma esiste una evidente differenza tra l’essere discordi su alcune scelte ed il rinnegare sia il diritto di Israele ad esistere che quello degli ebrei ad avere un proprio focolaio.

Non abbiamo ulteriori scuse per non riconoscere il binomio indissolubile tra l’odio per Israele e quello per gli ebrei, e punirlo in quanto tale ufficializzando la definizione che li lega. Prima che sia troppo tardi, prima che un qualcun altro debba pagare un’intolleranza ideologica giunta da lontano, dalle menti di Hamas che pianifica la distruzione dello Stato d’Israele e del popolo ebraico. Non dimentichiamoci che l’ultima volta in cui l’Italia si è prestata al terrorismo palestinese, Stefano Gaj Tachè, un bambino di soli due anni, rimase ucciso nell’attentato alla Sinagoga di Roma nel 1982. Aveva solo due anni, eppure vittima di quell’odio contro gli ebrei che si nasconde sotto l’antisionismo.


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