L’OPINIONE | Conflitto israelo-palestinese: è la Seconda Guerra Fredda?
Il conflitto e le dinamiche di oggi e di ieri
La Seconda Guerra Fredda
Israele è ormai in guerra con Hamas da più di un mese. La leadership israeliana si interroga sul dopo-guerra, su come evolverà il panorama politico e su come cambierà il futuro rapporto con i vicini Arabi. Questo conflitto ha lasciato impresso il rigurgito di odio e violenza che ha colpito tutto il mondo, perfino il “civile” Occidente. Questi sentimenti anti-sraeliani sono sicuramente parzialmente dovuti a una forma più ingannevole di antisemitismo, che si maschera come difesa degli strumentalizzati civili palestinesi per esigere la distruzione di Israele. Ma c’è tutto un altro fenomeno che sta colpendo l’Occidente ormai da anni, la radicalizzazione e polarizzazione dei suoi cittadini.
Analizzando con più attenzione il conflitto sarà chiara la formazione di due blocchi, esattamente come è successo nelle Guerre Mondiali e nella Guerra Fredda. I parallelismi geopolitici sono così accurati che non è difficile vedere il conflitto tra Israele e Hamas come una parentesi più calda in quella che è di fatto la Seconda Guerra Fredda.
Somiglianze e differenze
Come allora, ci sono due principali blocchi che si contendono l’egemonia geopolitica del mondo, il blocco occidentale e quello orientale. Diplomazia in bilico, minacce nucleari, e una presenza di stati satellite, pedine in una scacchiera globale; sebbene ci siano somiglianze, le differenze tra la Prima e la Seconda Guerra Fredda sono evidenti. Il primo conflitto non era solo tra democrazia e dittatura, ma anche tra capitalismo e comunismo. La ridotta informazione che trapelava dall’URSS era controllata e propagandistica e per anni aveva alimentato il sentimento di discontento verso un capitalismo ultraliberale a stampo americano, offrendo l’estremo opposto come soluzione. Le influenze dell’URSS si espandevano in molti paesi vicini all’America (come Cuba) e anche in Medio Oriente, Europa e Asia, minacciando la sopravvivenza di qualunque governo democratico. Adesso come allora, la Russia non è sola a tenere testa agli Stati Uniti: a suo fianco ha potenze quali la Cina, la Corea del Nord e l’Iran. Stessi giocatori con giochi diversi. Il fronte orientale porta avanti una politica volta alla destabilizzazione del mondo libero, questa volta senza l’arma del comunismo, ma usando i valori e la morale occidentale contro sé stessa.
Neanche gli USA sono soli: il loro blocco può contare sull’Europa, che durante la prima Guerra Fredda si riprendeva timidamente dai fallimenti dei propri Stati, e lo Stato di Israele, il quale solo negli ultimi anni si è trasformato in una vera e propria potenza militare ed economica.
La guerra su due fronti
Possiamo essere rassicurati che il mondo libero non sia solo, ma in queste ultime settimane è ormai chiaro che l’Occidente debba difendere il suo fronte interno più duramente. L’alleanza inusuale tra una sinistra sempre più radicale, che si aggira specialmente tra i giovani, e un islamismo e filo-arabismo basato su una narrativa storica antimperialista dell’oppresso vs oppressore, è ormai onnipresente all’interno di istituzioni di ogni tipo.
L’accusa secondo la quale l’Occidente, e in particolare gli Stati Uniti, sia responsabile di tutti i disastri dei governi arabi, e che è quindi un dovere degli Occidentali più “lungimiranti” cercare di riparare questa situazione, non ha fatto altro che creare un sistema di auto-odio all’interno delle nostre società, che, come un cavallo di Troia, espugna i sistemi di valori sui quali si fondano. Vediamo persone che sostengono di battersi per le libertà altrui cantare “From the river to the sea” nelle piazze europee e americane; grandi istituzioni dell’educazione come Harvard, MIT e Stanford permettere dimostrazioni di antisemitismo nei loro Campus, più volte culminate in una caccia all’ebreo che ricorda tempi bui, tempi che pensavamo essere ormai superati.
Secondo uno studio dell’Università del Maryland e Ipsos, in America per la prima volta i giovani tra 18 e 29 anni sono più simpatetici verso la Palestina rispetto a Israele. I Millennials, poi, sono arrivati al livello più alto mai registrato, e questo dato riguarda la stessa popolazione ebraica americana. Anche la percentuale di chi si astiene o si dimostra poco interessato è aumentata. Stando allo stesso studio, il 13% degli Americani ritiene Israele uno stato di apartheid. Escludendo chi si astiene, si arriva al 31%, la maggioranza dei quali si affilia al partito Democratico. Con una nuova generazione che si approccia con opinioni estreme e violente verso la questione israelo-palestinese, perfino nelle università, considerate la fonte della classe dirigente, è giusto chiedersi cosa ne sarà dei numerosi aiuti economici e militari che gli Stati Uniti forniscono a Israele ogni anno e forse prepararsi a un futuro in cui Israele sarà più isolato nel panorama mediorientale.
Dall’altra parte dell’Oceano, l’Europa soffre di un problema simile. Anche noi Europei abbiamo visto questo radicalismo infiltrarsi nelle nostre scuole e università. Con grandi ondate migratorie da Siria, Turchia e altri paesi arabi, l’Europa sembra essere ormai fortemente influenzata da opinioni spesso figlie della propaganda degli Stati arabi per demonizzare l’Occidente. Secondo uno studio della Commissione Europea pubblicato nel 2021, i 10 stati EU che hanno inglobato più rifugiati siriani ne contengono circa 1 milione. Come riportano DESTATIS (Ufficio di Statistica Federale Tedesco), International Migration Organization, e SCB (Ufficio centrale di Statistica Svedese), Germania, Regno Unito e Svezia insieme contano più di 1.1 milioni di rifugiati iracheni. Per quanto riguarda gli immigrati regolari, nel 2011 Eurostat ha calcolato quali fossero i gruppi di migranti più popolosi in Europa e ha stimato la presenza di 2.3 milioni di marocchini, 2.08 milioni di turchi, 1.81 milioni di russi e 1.51 milioni di algerini; secondo un sondaggio del giornale Guardian, pubblicato nel 2014, Marocco, Iraq e Algeria sono nella top 10 dei paesi più antisemiti al mondo, inoltre nelle zone dell’Est Europa (considerando la Russia) e Medio Oriente è stato riscontrato che rispettivamente 34% e 74% dei partecipanti al sondaggio mantengono stereotipi verso il popolo ebraico e/o posizioni antisemite. La quasi totalità dell’immigrazioni, legali e no, in Europa proviene dall’Est e dal Medio Oriente, dove, oltre all’antisemitismo, dilaga anche un forte sentimento anti-occidentale.
Il sogno del multiculturalismo Europeo è stato messo fortemente alla prova e dalla campagna di integrazione sociale nei diversi paesi dell’Unione si vedono risultati non ottimali. Pochi giorni fa il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta sull’influenza antisemita dei migranti musulmani in Germania, mentre nel 2016 il britannico “Channel 4” ha rilasciato dati preoccupanti sulle opinioni degli immigrati musulmani nel Regno Unito: quasi la metà dei partecipanti al sondaggio non pensava fosse accettabile che un insegnante fosse omosessuale e il 24% auspicava l’introduzione delle leggi della Sharia (17% parzialmente d’accordo e 7% fortemente d’accordo). Uno studio dell’ERCOMER mostra come immigrati di seconda generazione tendano ad essere più integrati nella società rispetto ai loro genitori, ma ancora oggi una grande percentuale è poco integrata nelle società dell’UE e mantiene una posizione diffidente verso i media e i valori occidentali. Un circolo vizioso che comprende il resto della società europea. Questa, infatti, ha opinioni sempre più islamofobiche – come prova si noti l’aumento dei casi di odio verso musulmani negli ultimi anni riportato dall’Unione Europea e da ricercatori indipendenti – contribuendo all’alienazione degli immigrati musulmani. I social media contribuiscono a questa dinamica, essendo usati come strumento per perpetuare questi bias.
Con l’aumento dell’immigrazione da paesi molto lontani dai valori promossi dalle democrazie liberali, con l’alto livello di antisemitismo e anti-occidentalismo, la classe anti-occidentale si infoltisce, ed è assecondata da estremisti di Sinistra e Destra. Questa classe continua a seguire una lettura della storia propagandista e estremamente semplicistica e si sente spesso infuriata con il resto del mondo, usa i social come valvola di sfogo per propagare odio, perché vede un mondo in contromano e non capisce come si possa essere così ciechi di fronte a una verità che sembra essere elementare. La famosa post-verità orwelliana, quella fondata su fatti di rado davvero accaduti, tramandati di tweet in tweet, la “verità” di cui i social sono ormai il catalizzatore primario. D’altronde, da giovani si tende spesso ad avere posizioni poco realistiche, più estreme, che si scontrano poi con la dura realtà dei fatti. I social offrono una via d’uscita, un paraocchi, un modo per mantenere e nutrire le proprie opinioni con il contributo di una comunità che le fortifica e le convalida.
Guerra e Pace
Certo, il conflitto tra Israele e Hamas può aver risvegliato gli animi degli antisraeliani e aperto brutalmente gli occhi a chi pensava di aver ormai risolto certe questioni, ma apre anche un nuovo fronte; la guerra serve spesso la causa opposta, spingendo popolazioni ostili e piene d’odio reciproco a fermare gli orrori una volta per tutte. Nonostante la popolazione araba sia ancora estremamente ostile verso Israele e gli ebrei, alcuni dei loro governanti hanno mantenuto un impegno per la pace già costruita o in via di costruzione. Che la perdita di numerose vite innocenti da parte del popolo palestinese e l’attenzione internazionale sul conflitto possano effettivamente dare i loro frutti in una pace, solo il tempo lo potrà dire. Israele è solo un fronte della Seconda Guerra Fredda, una guerra per la sopravvivenza delle libertà a noi più care, delle storie che formano la nostra coscienza comune. Non ci resta che agire e sperare per salvare la nostra società dall’odio e dal radicalismo.