Lettera del direttore uscente: “Anche nel giornalismo, le intenzioni valgono più dei contenuti”
di David Zebuloni, direttore uscente di HaTikwa
Cari lettori,
Nell’anno in cui sono nato, il 1995, Andrea Bocelli cantava la bellissima Time to say goodbye. Ecco, nonostante il nostro non sia un drammatico addio, ma un più innocuo arrivederci, ho ritenuto comunque opportuno porgervi un saluto, prima del mio congedo.
Ricordo che quando mi proposero di dirigere HaTikwa, prima ancora di accettare l’incarico, mi domandai quale poteva essere il mio valore aggiunto alla testata. Ricordo anche che pensai immediatamente ad un aneddoto talmudico, che da sempre mi accompagna nei momenti importanti della vita. Si racconta infatti nel Talmud che i due grandi maestri Hillel e Shammai, avessero visioni opposte circa tutto ciò che riguardava il lato pratico dell’ebraismo. I due erano dunque protagonisti di grandi dispute e a legarli vi era un rapporto di amore conflittuale e di stima rigorosamente non ostentata. Un giorno, durante un dibattito particolarmente acceso, il Talmud racconta che una voce celeste intervenne per porre fine alla discussione. Il Signore disse: “Voi tutti siete nel giusto, poiché entrambi trasmettete la parola del Dio vivente”.
Fermi tutti. Com’era possibile dare ragione sia a Hillel che a Shammai, se i due sostenevano tesi opposte? Com’era possibile accettare due opinioni così contrastanti e definirle entrambe corrette? Interpretando il passo in termini semplici e accessibili, scopriamo che Dio volle spiegare ai due grandi maestri che le opinioni non contano, quando le intenzioni di chi le sostiene sono pure e sincere. Hillel e Shammai volevo entrambi santificare il nome di Dio e, pertanto, entrambi erano nel giusto, nonostante dicessero verità assolutamente incompatibili tra loro. Entrambi si battevano con la sola intenzione di aggiungere una porzione di luce nel mondo, e non con l’obbiettivo di schiacciarsi a vicenda.
Tornando ad HaTikwa e alla lusinghiera proposta di dirigere il giornale, ricordo perfettamente che accettai la sfida pensando proprio all’episodio di Hillel e Shammai. Il valore aggiunto che intendevo dunque offrire alla testata, era quello di dar meno spazio al conflitto e più spazio al dialogo. Un dialogo che non avesse il fine di confutare le idee dell’interlocutore, ma che si svolgesse nel pieno rispetto del prossimo. Desideravo anche offrire a tutti i nostri giovani e talentuosi collaboratori la preziosa opportunità di far sentire la propria voce, senza alcun timore di non essere accettati o capiti. Ogni opinione era per noi legittima e sacrosanta, ogni corrente di pensiero era in perfetta linea editoriale con la testata, se il presupposto di chi scriveva era puro e sincero, sano e costruttivo come quello di Hillel e Shammai. Anche nel giornalismo, d’altronde, le intenzioni valgono più dei contenuti.
Lo dico con grande sincerità: mi emoziona parlare di questo ambizioso progetto che porta il nome di HaTikwa. Mi emoziona perché per me e i miei colleghi questa parola non significa solamente speranza, ma anche casa. Per un anno, infatti, ci siamo confrontati giorno per giorno con il solo obiettivo di offrire a voi lettori dei contenuti di alta qualità. Dei contenuti che non fossero mai banali e mai scontati. Abbiamo provato a pensare fuori dalla scatola, sempre più controcorrente, ignorando le voci ostili di chi reputava che tutto ciò fosse al di sopra dalle nostre capacità. Abbiamo cercato di dimostrare all’ebraismo italiano che i giovani non rappresentano solamente il futuro, ma che sono anche e soprattutto i protagonisti del presente.
C’è una frase pronunciata da Rav Kook che personalmente adoro e che mi ha guidato durante tutto il mio mandato di direttore. La frase dice: “Io non parlo perché ho la forza di parlare. Io parlo perché non ho la forza di tacere”. Ecco, fare giornalismo non significa assolutamente far sentire la propria voce perché si ha la possibilità di farlo. Perché si ha un palcoscenico, un microfono e un faro puntato addosso. No. Fare giornalismo significa far sentire la propria voce, perché non si può proprio fare altrimenti. Perché il silenzio per un giornalista non è mai un opzione valida. Perché il silenzio talvolta è indifferenza e l’indifferenza non ci rende solo giornalisti meno professionali, ma anche persone peggiori. Persone meno etiche e meno empatiche.
Dopo due anni e mezzo di impegno quotidiano, lascio HaTikwa. Lascio con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò che era nelle mie possibilità per rendere onore a questa testata così importante per l’ebraismo italiano. Lascio il giornale, ma lascio anche a chi prenderà il mio posto delle preziose eredità: un nuovo podcast da noi fondato, un progetto cartaceo del tutto innovativo, un impegno costante e non occasionale nel ricordo della Shoah, ulteriori piattaforme online su cui seguirci, centinaia di nuovi contenuti assolutamente inediti e una manciata di interviste che rimarranno sicuramente nella storia del giornalismo ebraico italiano.
Insieme ai miei ragazzi, insieme al mio team straordinario composto da giovani giornalisti di grandissimo talento, abbiamo dimostrato che con determinazione e passione, si può trasformare un piccolo progetto editoriale in un grande sogno. Per questo motivo sento il profondo bisogno di ringraziare chi ha reso possibile tutto ciò. I miei genitori in primis, perché non li ho mai ringraziati pubblicamente e ci tengo far sapere loro quanto siano fondamentali per me. Ringrazio poi l’insuperabile Ruben Spizzichino, per essere un così caro amico e per avermi inserito nel magico mondo di HaTikwa. Ringrazio Simone Santoro, il Presidente Ugei, per le lunghe chiamate notturne, per la fiducia, per il sostegno, per l’amicizia, per la sincerità, ma soprattutto per la capacità innata di guidare e di vedere il buono ovunque. Un ringraziamento speciale ai miei insostituibili caporedattori Luca Spizzichino, Luca Clementi e Nathan Greppi. Grazie ragazzi, perché senza di voi nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile. Quest’anno mi avete insegnato che non serve a nulla avere delle grandi idee, se al proprio fianco non si ha dei grandi amici per poterle realizzare. Ultimi, ma non di importanza, ringrazio voi lettori, di tutto cuore. Grazie per la fiducia, la costanza, il confronto e il sostegno che non mi avete mai fatto mancare. Sin dall’inizio, sin dal primo giorno.
A sostituirmi saranno proprio “i due Luca”, come uso spesso chiamarli. Luca Spizzichino e Luca Clementi, due giornalisti eccezionali e due persone d’oro. Sono certo che non vi faranno sentire in alcun modo la mia mancanza.
Con affetto sincero e infinita gratitudine,
David Zebuloni
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.