Lettera alla Redazione a proposito del dibattito tra Trump e Biden

trump

Caro Direttore,

La settimana scorsa è uscito su HaTikwa un articolo intitolato “Trump vs Biden: il primo (deludente) dibattito presidenziale”. Mi ha colpito l’abbondanza di inesattezze di cui è costellato l’articolo; vivendo io negli Stati Uniti da oltre quattro anni ed avendo lavorato qui come giornalista, ho deciso di scrivere alla redazione per proporre un fact-check di alcuni passaggi.

L’ultima delle mie intenzioni è di attaccare o imbarazzare la redazione di HaTikwa. Penso però che, se ci si assume la responsabilità di scrivere di un tema come la politica americana, sia necessario essere ben informati e precisi. Spesso in alcuni ambienti ebraici italiani ci si lamenta quando alcuni giornalisti italiani scrivono di Israele dall’Italia senza saperne quasi nulla; vorrei che la stessa filosofia fosse adottata da noi quando scriviamo di altri paesi.

Di seguito trova il fact-check:

“Per gran parte della nottata è stato un andirivieni di attacchi, illazioni e continue interruzioni da entrambe le parti”. Le continue interruzioni non sono arrivate da entrambe le parti, bensì, nella stragrande maggioranza, da parte di Trump mentre Biden parlava e mentre il moderatore poneva le domande. Slate ha contato 128 interruzioni da parte di Trump in 90 minuti di dibattito. Le regole erano chiare: per ogni domanda, ciascun candidato aveva a disposizione 2 minuti ininterrotti per esprimere la propria risposta; durante quasi tutto il dibattito, Trump non ha fatto che interrompere Biden durante i suoi due minuti, al punto che ora la Commissione per i Dibattiti Presidenziali ha dichiarato che vuole cambiare le regole per assicurarsi che la prossima volta i candidati possano parlare senza interruzioni. Ovviamente, essendo ora Trump ricoverato in ospedale, non sappiamo se e come si terranno i prossimi due dibattiti.

“Si è discusso sulla legittimità della manovra svolta dal Presidente, il quale, secondo l’ex VP, avrebbe dovuto aspettare l’esito delle prossime elezioni o addirittura il prossimo mandato”. Il motivo per cui i democratici non vogliono che il Senato approvi la nomina di Amy Coney Barrett è che 4 anni fa, 237 giorni prima delle elezioni del 2016, Obama candidò Merrick Garland alla Corte Suprema, e i repubblicani si opposero alla conferma del giudice perché era l’anno delle elezioni. Infatti, Merrick Garland non divenne giudice della Corte Suprema. Ora, a soli 45 giorni dalle elezioni del 2020, Trump vuole fare la stessa cosa a cui i repubblicani si opposero fermamente nel 2016.

“Trump ha continuato il suo mantra favorevole a riaprire l’economia, accusando i governatori democratici di aver scelto la data della riapertura (9 Novembre) solamente in funzione elettorale”. Questa è una falsità, anzi una teoria del complotto, che nessun giornalista dovrebbe riportare senza descriverla come tale. I governatori democratici non hanno mai dichiarato il 9 novembre come la data della riapertura dal lockdown. Molte delle nostre città sono già state riaperte (a New York la maggior parte delle scuole pubbliche sono aperte) e la riapertura ha perlopiù a che fare con il tasso di positività dei test del coronavirus, non con le elezioni. Alcuni elementi della destra americana si sono inventati una teoria secondo la quale i democratici vorrebbero far ripartire l’economia solo dopo le elezioni per danneggiare la campagna elettorale di Trump, ma si tratta di una falsità.

“Il dibattito si è poi protratto su altre tematiche tra cui i cavalli di battaglia trumpiani, come la legalità e l’economia, ma anche su argomenti più cari ai democratici, come il sostegno alle minoranze etniche e il cambiamento climatico”. Quando si parla di razzismo negli Stati Uniti, un fatto ben documentato in particolare in materia di ingiustizia del sistema giuridico, non ci si riferisce al “sostegno delle minoranze etniche”. Inoltre, la legalità non è un cavallo di battaglia di Trump, specialmente se consideriamo che ben 7 persone vicine a Trump e alla sua campagna elettorale sono state dichiarate colpevoli di crimini vari. Alcuni di loro sono addirittura finiti in prigione.                                                                                                                                                                                             

L’opposizione ai movimenti suprematisti”. Manca qui un elemento fondamentale di cui la stampa internazionale ha parlato per giorni. Il moderatore ha chiesto espressamente a Trump di condannare i suprematisti bianchi, ma lui non l’ha fatto. Invece, ha detto: “Proud Boys, stand back and stand by”. I Proud Boys sono un gruppo di estrema destra, neofascista e sessista. Stand by significa state in postazione. La stampa ebraica americana è rimasta sconvolta da questa dichiarazione a sorpresa.

La ringrazio per l’attenzione e auguro alla redazione chag sameach,

Simone Somekh

Simone Somekh vive a New York, dove lavora come giornalista e scrittore. È professore di comunicazione al Touro College di Manhattan. Ha collaborato con Associated Press, Tablet Magazine e Forward. Con il suo romanzo Grandangolo (ed. Giuntina), tradotto in francese, tedesco e in prossima uscita in russo, ha vinto il Premio Viareggio Opera Prima.


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