Lettera al direttore di Repubblica, Maurizio Molinari

Evento Diplomazia per l'Italia

di David Di Segni

Caro Direttore,

Leggo con stupore quanto accaduto all’Università Federico II di Napoli, dove dei collettivi studenteschi della sinistra comunista e propalestinese le hanno impedito di tenere il convegno che aveva in programma. Alcuni tentano di giustificare l’accaduto catalogandolo nel novero delle contestazioni previste e garantite dalla nostra Costituzione, dimenticando – volutamente – che c’è una grande differenza fra contestare una persona per le sue idee e impedirle di parlare: la prima è democrazia, la seconda è un gesto illiberale e antidemocratico tipico dei regimi dittatoriali di cui alcuni giovani d’oggi sembrano essere orfani. Si sta innescando un preoccupante cortocircuito psicologico nelle nostre società, dove coloro che sbandierano concetti come democrazia, libertà di espressione e pluralismo sono paradossalmente gli stessi che si organizzano per tacciare qualsiasi discorso su Israele che non rispecchi la loro visione antisionista, e quindi antisemita. La stessa che si evince dagli slogan ormai sdoganati nelle manifestazioni propalestina, dal From the river to the sea alla globalizzazione dell’intifada, fino alla richiesta di cacciare i sionisti fuori da Roma e dalle università. Anche se per sionista, in realtà, si intende ebreo. Siamo nuovamente al punto zero della storia, Direttore. La società vede ancora un nemico negli ebrei, nonostante il grande contributo che questi hanno dato nei secoli: dalla Medicina, al Giornalismo passando per il Cinema fino all’Economia e tanto altro ancora. Di nuovo gli ebrei vengono chiamati a rispondere dei fatti che accadono in Medio Oriente, che di certo non interessano realmente a coloro che le hanno impedito di parlare. Perché, se così fosse, avrebbero speso parole di condanna verso i terroristi di Hamas o verso il pogrom del 7 ottobre, e invece nulla: il loro unico nemico è il Sionismo, quindi il diritto del popolo ebraico ad avere una propria terra nel mondo. Lei ricorderà sicuramente che negli anni Ottanta, quelli della Guerra in Libano, davanti a una sinagoga di Roma apparve uno striscione con su scritto “Bruceremo i covi dei sionisti”. Non davanti a una sede istituzionale di Israele, ma davanti a un luogo ebraico di preghiera. Quello striscione anticipò la deposizione di una bara bianca davanti al Tempio Maggiore di Roma, in occasione di una grande manifestazione dei sindacati. Una bara purtroppo riempita il 9 ottobre 1982, quando i terroristi palestinesi colpirono gli ebrei in uscita dalla Sinagoga, ferendo circa quaranta persone e uccidendo il piccolo Stefano Gaj Taché di soli due anni. Tutto quello fu possibile a causa della connivenza di parte dell’opinione pubblica che, seppur non materialmente, mise ideologicamente le armi in mano al Commando per compiere l’assalto. Lei quel giorno c’era, ha vissuto sulla propria pelle il palesarsi della propaganda da antisionista ad antisemita, la stessa che ancora oggi inquina la nostra società. Anche allora si diceva “sionista” per dire “ebreo”, anche allora i sionisti venivano cacciati dalle università, anche allora Israele veniva demonizzata per colpire gli ebrei. Sono perplesso, Direttore. Perché davanti a tutto questo, solo una piccolissima parte della società sta prendendo concretamente le distanze. Molti riducono il loro impegno a un semplice post su internet, credendo che questo possa lavare loro la coscienza, ma sottovalutano l’importanza della presenza fisica. Non serve a nulla condannare, se non è disposti a prendere provvedimenti. Non serve a nulla auspicare alla cessazione delle violenze, se non si è disposti a difendere concretamente la tutela di tutti i cittadini. Nel 1982 gli ebrei vennero abbandonati dallo Stato, uno Stato che oggi invece c’è e che è vicino ai suoi cittadini ebrei, al fianco di Israele per il suo diritto all’esistenza e alla difesa. Ma dove sono tutti gli altri? Sono perplesso, Direttore, ma fiducioso. Perché, in più di cinquemila anni di storia, noi ebrei ne siamo usciti sempre a testa alta.

David Di Segni,

Direttore di HaTikwa, Giornale dei Giovani ebrei d’Italia


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