L’eredità di Rabin e la responsabilità collettiva
Alcuni mesi fa, durante un discorso alle Nazioni Unite, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto: “I trattati di pace con Egitto e Giordania continuano a costituire ancore di stabilità in un Medio Oriente instabile”. Il giorno dopo, con la mia amica Anna ho visitato il centro che porta avanti l’eredità di uno degli uomini che dedicarono la propria vita a queste ancore, il Centro Yitzhak Rabin.
Durante la visita mi è tornato in mente un episodio di quando facevo la guida per Zofim, il movimento scoutistico israeliano. Dovevo condurre una peulà (attività) con un gruppo di ragazzi delle scuole medie nel giorno del ricordo di Rabin. Al termine della peulà, in cui avevamo discusso dell’assassinio di Rabin e della questione dell’incitamento a uccidere, uno dei giovani mi ha chiesto: “Perché c’è un giorno dedicato a Rabin e non ad altri primi ministri?”. Per rispondere alla domanda ho organizzato un’altra peulà. Questa volta non su Rabin, ma su Barni, un bambino con un nome di fantasia. Ho detto agli studenti che Barni era uno scout preso di mira dai coetanei. Molti tra gli altri scout non prendevano parte agli atti di bullismo, ma non facevano neanche nulla per fermare chi invece lo faceva. Un giorno Barni viene picchiato. A partire da questa storia abbiamo cominciato a discutere del significato della responsabilità collettiva.
In questo modo ho spiegato che, analogamente, lo scopo del giorno in ricordo di Rabin non è soltanto quello di trasmettere la sua eredità di primo ministro coraggioso e visionario, ma anche di insegnare una lezione che parte dal suo assassinio, una lezione per migliorare il futuro di Israele. Terminata la peulà, lo studente che mi aveva interrogato sul senso di un giorno del ricordo mi ha detto di aver compreso davvero perché l’assassinio di Rabin deve continuare a essere commemorato.
Il Centro Rabin sembra costruito esattamente per rispondere alla domanda del ragazzo. Presenta la straordinaria vita di Yitzhak Rabin e la sua morte tragica, elementi cardine della storia di Israele il cui impatto non può essere ignorato o dimenticato affinché sia frantumato il rischio di una ripetizione.
Il cuore del Centro Yitzhak Rabin è il museo di Israele. Grazie a quasi 200 brevi filmati, i visitatori esplorano la storia e la nascita dello stato attraverso sale espositive, ciascuna incentrata su punti di svolta dello sviluppo del paese. Sono presentati i conflitti, le sfide sociali e le domande a cui il paese ha cercato di rispondere, ma anche i suoi successi. Lungo il corridoio interno e intrecciata al resto del museo, ecco la storia della vita di Yitzhak Rabin, come un filo rosso lungo la storia e lo sviluppo di Israele.
Il Centro dispone anche di workshop per trasmettere a ogni studente, soldato e giovane israeliano appartenente a qualsiasi settore della società i valori di cui si fa portavoce. Seminari danno vita a esperienze di grande valore che arricchiscono 12.000 studenti di scuole superiori e 13.000 giovani soldati dell’Idf ogni anno. Chi partecipa a questi programmi educativi impara a vedere in Rabin un modello di leadership per la sua fede accanita nella responsabilità sociale e per la fiducia nella pace e nella sicurezza. Così si può diventare consapevoli del proprio ruolo per promuovere il benessere e l’unità del popolo di Israele. I workshop interattivi portano a discutere questioni chiave per giovani leader: democrazia, identità, responsabilità, libertà di espressione in una società pluralista.
La missione del Centro è assicurare il ricordo delle vive lezioni che possiamo trarre dalla vicenda di Yitzhak Rabin e modellare una società e una leadership che siano aperte al dialogo, alla democrazia, al sionismo e alla coesione sociale.
Nel Centro possiamo imparare molto anche di Menachem Begin, un leader del partito rivale di Rabin, il Likud. Infatti, al di là delle differenze politiche, Begin ha posto una delle summenzionate “ancore” in questa regione instabile, firmando nel 1979 l’accordo di pace con l’Egitto di Anwar Sadat. Tutto ciò porta a pensare che gli uomini dotati di vision e desiderosi di pace, tra di essi anche l’ex presidente dello stato Shimon Peres, scomparso lo scorso anno, sappiano andare oltre le divisioni politiche.
Perciò consiglio caldamente la visita del Centro Rabin a chi vuole imparare che cosa sia Israele e come si configuri il suo mosaico politico. Lo consiglio anche agli israeliani, qualunque sia il loro orientamento politico, perché credo che, per elaborare un’opinione, occorra conoscere la nostra storia e come essa viene raccontata. Se qualcuno mi chiedesse perché, la mia risposta sarebbe la stessa che ho dato ai giovani che mi chiedevano che senso avesse la giornata in ricordo di Rabin: la responsabilità collettiva.
Michael Sierra
(© The Times of Israel – traduzione a cura di HT)
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