Le Parashot della settimana: Vajakel, Pekudè e Bo
Questo sabato leggeremo 3 diverse Parashot: Vajakel, Pekudè, Bo. Questo è infatti anche l’ultimo dei “Sabati segnalati”, lo “Shabbat HaChodesh” ossia il Sabato in cui si annuncia l’ingresso del mese di Nissan, nel quale cade la festa di Pesach e in cui si celebra la liberazione del nostro popolo dalla schiavitù. Nel commento al primo verso della Torà su “Bereshit”, Rashi, riportando il Midrash, si chiede: “Perché la Torà inizia con la Creazione del mondo e non con il capitolo 12 del libro di Shemot in cui si parla della prima Mitzvà che il popolo riceve?” Quando Rashì ci dice che la Torà sarebbe dovuta cominciare da questo verso non si riferisce solo al fatto che si tratta della prima Mitzvà che la Torà ci comanda. La santificazione del mese, il Kidush HaChodesh è veramente il pilastro sul quale si posa l’intera Torà. Buona parte del trattato di Rosh Hashanà si occupa di questo precetto e delle ripercussioni che ha sul ciclo delle feste e non solo. Secondo i Maestri il significato di questa domanda è molto più profondo: Am Israel è un popolo che si è formato con il tempo, e tutto nella tradizione ebraica parte dall’uscita dall’Egitto e dalla liberazione dalla schiavitù, persino lo Shabbat e Kippur, in cui diciamo: “in ricordo dell’uscita dall’Egitto”. Un popolo o una persona, per avere una propria identità, deve essere padrone del proprio tempo e deve saper gestire il proprio calendario. È importantissimo però non dimenticare mai la sua storia e quello che ha passato per diventare un “popolo”. Soltanto nel momento in cui dimostra di essere maturo per questa finalità, può essere una persona o un popolo definito libero. All’inizio della Parasha di Vayakhel è scritto: “Mosè convocò tutta la congrega dei figli di Israele e disse loro…” (Es. 35:1). Rashi in questo versetto commenta la parola “convocare” così: “Quando Moshè scese dal monte era il giorno seguente a Yom Kippur. Il verbo non è pa’al (cioè “riunire prendendoli per mano”), ma hif’il (“li ha fatti riunire attraverso la sua parola, con la sua voce”). Li ha “convocati”. Perché sottolineare che il giorno era quello dopo lo Yom kippur? Inoltre, perché convocare tutti? Per rispondere a queste due domande bisogna partire da un concetto: “כל ישראל ערבים זה לזה”. Il comandamento di essere uniti e responsabili uno per l’altro è un comandamento che vale per sempre. Per questo motivo, soltanto dopo che il popolo sente di aver fatto il peccato per eccellenza e si è compattato, il Mishkan può perdonarlo. È esattamente quello che avviene di Yom Kippur: prima di chiedere a D. di perdonare le nostre colpe dobbiamo scusarci con il prossimo. Tutto questo corrisponde a ciò che è narrato alla fine delle due arashot in cui, dopo il completamento dei lavori che hanno visto la partecipazione di tutto il popolo, la Shechinà si posa sopra di essi e lo spirito divino riempie il Mishkan per iniziare un momento nuovo della loro vita.
Shabbat shalom
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