“La vita è ri-creazione”
di Elisabetta Pichini
Una delle nostre brillanti redattrici, Elisabetta Pichini, ha vinto il contest “Sposta la tua mente al dopo…e raccontalo”, ideato, curato e coordinato dall’Istituto Flora e dalla Fondazione Pordenonelegge, con la collaborazione dell’Area Giovani CRO, dell’Assessorato alla Cultura della Regione Friuli Venezia Giulia e la partecipazione delle scuole Superiori del territorio regionale. L’oggetto era la stesura di un testo di 8000 battute, riguardante tanto il futuro, quanto il presente del difficile periodo del lockdown causa-covid per un giovane.
Il testo vincitore, che leggerete qui sotto, è stato citato in un articolo de “Il Messaggero – Veneto”, e sarà pubblicato in un e-book che verrà presentato il 19 settembre al Festival della Letteratura “Pordenone Legge”.
Primi di Marzo 2020, ho bisogno di uscire.
Sto per prendere il treno che mi porterà ad una località di mare vicino a Roma, prima di salire mia madre con gesto premuroso mi avvicina una mascherina FPP2 “sii cauta, disinfettati le mani, cerca un binario vuoto, non sedere vicino ad altre persone”.
Ed io alzo gli occhi al cielo; da qualche settimana la popolazione italiana sembra essersi scissa in due grandi categorie. La prima : “I paranoici”, questi girano con amuchina tascabile e mascherine protettive, due per precisione perchè “non si sa mai”, guardando con occhio diffidente chiunque starnutisca. La seconda categoria la voglio etichettare così : “malfidati/terrapiattisti”, coloro che pensano che l’allerta scoppiata in Cina faccia parte di un grande complotto con fini economici, “che tornino al paese loro quelli, che qui i giovani faticano a trovare lavoro”.
Io mi sento nella terra di mezzo; oscillo tra paranoia e diffidenza.
Perchè in quanto adolescente si sà, si cerca sempre di pensare che questi adulti esagerino un pò, che sia l’ansia da mamma chioccia a volerti tenere al riparo dai mille pericoli del mondo. Ma subito dopo segue il “sei stata male, nonostante tu abbia superato la malattia e siano passati due anni, non puoi rischiare di esporti cosi tanto”.
E prendo quel treno, il naso e la bocca coperti, comunico con gli occhi.
Mi hanno sempre detto “hai la qualità di sorridere con gli occhi tu, non solo con la bocca”, e a quel pensiero sorrido tra me e me, che possa essere la mia arma vincente, penso.
Ma il giorno dopo, i Terrapiattisti lasciano spazio ai Paranoici, che si guadagnano il trofeo di premonitori, e tutti finiamo in quarantena.
Non so come sia accaduto, ma da un giorno all’altro qualcosa è cambiato.
“inizio fase 1”- Marzo 2020
Scendo per le strade i primi giorni di lockdown, in una mano stringevo l’autocertificazione per comprare un cartone di latte, nell’altra l’ansia di percorrere la stessa strada di sempre dipinta ora da ansia a paura.
Varcata la soglia di casa, osservo, mi tornano in mente frammenti di un libro di Walter Benjamin “Breve Storia della Fotografia”, in cui il filosofo descrive le stampe del fotografo Atget:
“..luoghi vuoti, vuoti i cortili, vuoti i saloni, vuota è la piazza del teatro.. tutti questi luoghi non solo solitari, bensì privi di animazione. In questa città, la città è deserta come un appartamento che non ha ancora trovato gli inquilini nuovi..”
L’unico fattore che differenzia le parole di Benjamin nel descrivere quella realtà quasi onirica, sta nel termine “vuoto”. In questa nuova realtà, vuoti sono i luoghi così come le menti.
Vuote di animazione e di speranza, ma colme di ansia, paura e angoscia; un futuro incerto ci attende.
Il “BIP” della cassa automatica mi riporta alla realtà, con il cartone del latte nella busta “eco-bio”, torno a casa.
Mia madre, quattro mura, ed un senso di spossatezza mi accolgono in casa.
I giorni passano come passa la frenesia dei miei vicini nell’accendere la radio con alto-parlate, e come il pifferaio magico, di richiamare i cittadini ad uscire dalla propria dimora per affacciarsi alla finestra e cantare all’unisono note di solidarietà.
Le giornate passavano tra video-lezioni e corsi di yoga, come incenso, un profumo inebriante inizia a portare il singolo a dedicarsi alla propria routine, alla casa, alla famiglia, decidendo di rallentare quel passo frenetico che dettava ogni giornata e di utilizzare questo tempo per se stesso.
Una nuova consapevolezza iniziò a citofonare ad ogni civico, cercando di abbracciare ogni individuo e portarli sulla via della riflessione interiore.
Molti accettarono, buttandosi a capofitto alla ricerca di sé stessi.
Altri mantennero il distanziamento sociale.
Io decisi di fare un tentativo.
Maggio 2020, fase 2
Ho iniziato questo percorso durante la quarantena, dopo che a Gennaio di quest’anno come un funambolo, trovandomi a camminare su quel filo incerto chiamato “vita”, persi l’equilibrio.
Erano forse due anni che un piccolo sassolino era finito nella mia scarpa destra per sbaglio, e mi impediva di camminare tranquilla per raggiungere l’altro capo della corda. Ma quando il mondo corre, fin da piccoli ci insegnano a dover correre più veloce di lui, di non rimanere indietro, e così ho fatto.
Non potendo rimuovere quel piccolo sasso, ho continuato a camminare.
Ma quando il mondo si è fermato, io mi sono fermata con lui, ed ho respirato, concedendomi una pausa, togliendomi la scarpa.
Ma quel piccolo taglio provocato dal masso, a distanza di mesi, di anni, era diventando un grande solco.
Per curarlo dovevo andare a fondo, ci sarebbe voluto più tempo del previsto.
Così iniziai un percorso con la psicologa, insieme iniziammo ad affrontare “quell’anno di pausa”.
“Come ti senti chiusa tra quattro mura?” mi disse un giorno, “è un film già visto, ma questa volta sono grata di avere accanto la mia famiglia, di dormire nel mio letto, di spazzolare i miei lunghi capelli castani”, risposi io.
Sorrise, e continuò “raccontami, chiudi gli occhi”, e ancora, “immagina di entrare nella camera dei tuoi ricordi, e comanda alla mente di aprire quei cassetti che per troppo tempo hai tenuto chiusi, forse per paura di ritrovare qualcosa che la mente aveva accantonato perché troppo dolorosi”.
Cosi feci, chiusi gli occhi, ed iniziai il mio viaggio.
“Immagina di trovarti in cima ad una grande scalinata di marmo bianco, guarda alle tue spalle, tanti sono gli scalini quanti i tuoi anni biografici”
Mi voltai, e strizzando gli occhi vidi fino all’ultimo scalino.
“inizia a scendere piano. Partiamo dallo scalino numero 21, ora 20, poi 19, ora 18”.
Arrivata al diciottesimo scalino qualcosa mi bloccò, vidi al mio fianco un forte fascio di luce che illuminava una grande porta di legno. “Vedo una porta” dissi, “aprila” mi consigliò la dottoressa.
La paura nel petto e la curiosità negli occhi mi aiutarono a varcare la soglia, lasciandomi entrare in una stanza dalle pareti colorate.
Affisse alle pareti disegni di bambini, due letti, un piccolo bagno all’interno, e uno strano macchinario a cui erano attaccate delle sacche contenenti glucosio.
D’un tratto l’olfatto diviene protagonista.
Odore di camici bianchi, mascherine, gente che va e gente che viene. Odore di lacrime salate, ma anche di sorrisi, speranza e rinascita.
Odore di plastica, lo sento, le papille olfattive iniziano un viaggio infinito toccando le corde della memoria, le stuzzicano come quelle di una vecchia chitarra; ad ogni nota pizzicata, un ricordo.
Assisto alla scena come fossi in un film, io lo spettatore del mio ricordo più buio.
Vedo una giovane ragazza uscire dal bagno, perde capelli come la spensieratezza adolescenziale.
Quattro mura, quattro cicli di chemio.
Nella stanza un’unica grande finestra, il suo portale sul mondo.
Il volto è gonfio, lo specchio il suo peggior nemico, è prigioniera di un corpo che ormai non le appartiene, ma la ospita chiedendo in cambio i suoi anni più belli.
Ad un tratto a varcare la soglia i due genitori “Tuo fratello non potrà venire a farti visita, ancora due mesi e se le analisi saranno buone potrai rivederlo e tornare a casa per qualche giorno”, la guancia le si riga di acqua salata.
Ma ad un tratto la scena cambia, qualcuno preme il pulsante avanti-veloce e davanti a me mille cassetti si aprono, mostrandomi ricordi accantonati sul fondo della memoria.
Le cure continuano, una quarantena durata 8 mesi, dottori che ridono, sorridono, capelli che crescono, occhi che iniziano a guardare il mondo in modo diverso, la consapevolezza di aver vinto, la voglia di vivere e di essere il fiore più forte e più bello tra tutti.
E poi tutto finisce, cosi come è iniziato; una folata di vento, analisi di controllo, di nuovo un colpo di tosse, e via, l’uomo nero che aveva invaso il suo corpo svanisce.
E la psicologa comanda: “Ritorna presente”.
Apro gli occhi, mi ritrovo nella mia camera, le mani tremano.
Decido di voler andare più affondo, quello sarebbe stato solo il trampolino di lancio che mi avrebbe portata a ricordare, a ri-trovarmi.
Maggio 2020
Inizio così un corso di meditazione a Marzo, condotto da Patrizio Paoletti, 7 lezioni che comprendevano un percorso per imparare a conoscersi, ad amarsi, per raggiungere una nuova consapevolezza, ed affrontare nel migliore dei modi questo momento così turbolento che ha scosso le vite di ognuno.
Non è stato un percorso facile, non sapevo da dove dover iniziare, convinta che “se non ne parli, non esiste”. Avevo stipulato un accordo con le mie memorie: io sarei rimasta in silenzio e loro sarebbero rimaste in disparte. Ma è proprio nel silenzio che riusciamo ad ascoltare i nostri cuori.
Così decisi di voler utilizzare questo tempo nel migliore dei modi, perchè tra noi e la realtà c’è una grande distanza, e noi possiamo ricreare la nostra storia.
Prima di iniziare le lezioni però, una domanda mi rimbombava per la testa “ E dopo?”
Cosa accadrà quando le 7 lezioni saranno finite? Cosa accadrà una volta raggiunta la consapevolezza di sé stessi? Cosa accadrà quando ricominceremo a correre di nuovo, quando si potrà uscire di casa? Ora, i baci non sono più baci, le orecchi sono tagliate dai nastri delle mascherine, e la voglia di tornare alla “normalità” lega tutti noi con lungo, invisibile, filo rosso.
Abbiamo imparato a parlare con gli occhi, ad apprezzare le piccole cose.
Ma dopo?
Come affronteremo tutto questo?
Luglio 2020
Le 7 lezioni sono concluse, continuo il mio percorso.
Oggi, rispondo alla mia domanda dopo aver direzionato la vita verso la positività, verso la me migliore di me.
Durante il corso di Paoletti, mi appuntai una metafora che mi fece riflettere. L’uomo è paragonato a un Vascello, le vele sono le emozioni, il timone è l’intelletto, e al comando la consapevolezza.
Ma se la barca non sarà in buone condizioni e il comandante non sarà in grado di timonare, questa affonderà : la consapevolezza è il centro del cambiamento.
Immagino così un mondo che, nonostante le sue turbolenze, le intemperie e i lunghi periodi di pausa, riprenda a girare intorno al sole, e noi, centrati, prendiamo il posto della stella luminosa.
Brilliamo di luce propria, troviamo il centro.
Non possiamo gestire un tornado, o far in modo che questa non distrugga ogni cosa e porti via con un soffio di vento tutto ciò che incontri nel suo cammino. Ma possiamo lavorare su noi stessi, piantare i piedi a terra, facendo in modo di non volare via. Di non farci piegare come un filo d’erba, di esser centrati, di saper ri-creare un nostro equilibrio.
Perche la vita è ri-creazione.
Perchè il tempo tutto corrode, ma la mente restaura.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.