2 Settembre 20209min

La Venezia di Iosif Brodskij

Iosif Brodskij a Venezia

di Iosef Mamistvalov

 

Parte 1. La vita prima di Venezia

La prima volta che Josif Brodksij (1940 – 1996), noto poeta russo di origini ebraiche, arrivò a Venezia nel 1973, era una “fredda notte di dicembre”. Pieno di ammirazione mescolata con il senso di scoprire qualcosa di nuovo, Brodskij decise in cuor suo che quella era la sua città. Forse perché gli ricordava la sua città natale, Leningrado (oggi San Pietroburgo), dove trascorse l’infanzia e l’adolescenza. dove lui prese la decisione di ingaggiarsi del mestiere di poeta. Ma anche a Leningrado, nonostante fosse il luogo dove si era formato come poeta, la maggior parte delle sue opere non fu apprezzata. In seguito fu espulso dall’Unione Sovietica con l’accusa di “parassitismo sociale”.

Cosa si intendeva per “parassitismo sociale”? Secondo la costituzione sovietica del 1936, essa era una deviazione dall’articolo 118 per cui ogni cittadino ha “il diritto di ricevere un posto di lavoro garantito pagato secondo sia la sua quantità che la sua qualità”. Dall’altra parte, la lotta contro il parassitismo sociale fu rinforzata dal decreto speciale di 4 maggio 1961 “sull’ intensificazione della lotta contro le persone che non adempiono a un lavoro socialmente utile e praticano uno stile di vita antisociale e parassitario”. Il principale paragrafo di questo decreto dice: “Tale esistenza parassitaria di queste persone, di regola, è accompagnato da ubriachezza, disordine morale e violazione delle regole della comunità socialista incidendo negativamente su altri membri instabili della società”.

L’accusa di parassitismo sociale fu un pretesto per processare Brodskij per aver diffuso le sue opere, giudicate negativamente come “antisovietiche” dai censori, tra i giovani di Mosca e Leningrado. Per un breve periodo le autorità sovietiche tentarono di bollarlo come malato di mente per rinchiuderlo in una clinica psichiatrica; tuttavia, in seguito a una perizia psichiatrica i dottori dissero che non si poteva fare nonostante “i tratti psicotici del suo carattere”. Alla fine Iosif fu condannato a 5 anni di lavori forzati in una regione distante dell’Unione Sovietica, il massimo della pena per chi veniva accusato di parassitismo sociale, e nel 1972 fu costretto ad andare in esilio per poi emigrare negli Stati Uniti. Tutto ciò era dovuto al fatto che mentre il regime comunista voleva un arte sottomessa ai suoi dogmi, le poesie di Brodskij esprimevano un desiderio di libertà e di “dissenso dello spirito” come lo definì il New York Times alla sua morte. Poesie che gli valsero il Premio Nobel per la Letteratura nel 1987.

Generalmente, la causa principale dell’irrigidimento della legge sul “parassitismo sociale” nei primi anni ’60 fu a seguito della liberalizzazione economica e culturale durante il governo di Nikita Khruschev, dopo le repressioni feroci sotto Stalin. Questo nuovo corso politico venne chiamato Ottepel (Disgelo). Nonostante l’amnistia dei detenuti politici, la condanna nei confronti delle repressioni di massa degli anni ’30, il governo sovietico aveva paura di non riuscire più a controllare la vita dei suoi cittadini, soprattutto dal punto di vista dell’iniziativa imprenditoriale (si registrò la crescita delle attività imprenditoriali durante questo periodo), e cercarono nei cosiddetti “parassiti sociali” un nemico su cui puntare per giustificare il controllo sulla popolazione.

Parte 2. Venezia e il suo splendore

Nell’inverno 1973, Josif Brodskij si recò per la prima volta a Venezia, che sarebbe stata una vera fonte d’ispirazione per la sua raccolta di saggi del 1989 Fondamenta degli incurabili. Qui ha raccontato il suo amore profondo per questa città, da lui definita “il più grande capolavoro che la specie umana abbia mai prodotto”. Quando Brodskij finì di stendere il volume, aveva gia visitato Venezia per ben 17 volte.

Nelle Fondamenta degli incurabili così viene descritta la peculiarità di Venezia: “L’imperativo territoriale di un uomo in questa città è limitato dall’acqua; gli scuroni sbarrano la strada non soltanto per il sole o il rumore (minimale qua), ma anche per ciò che potrebbe gocciolare dall’interno”[1].

Per Iosif Venezia è una città misteriosa che non si può mai conoscere al 100%. Di lei scrisse: “In questa città si può versare una lacrima in diverse occasioni. Posto che la bellezza sia una particolare distribuzione della luce, quella più congeniale alla retina-come la lacrima stessa- ammette la propria incapacità di trattenere la bellezza.” Per descriverne i monumenti, fa paragoni legati all’acqua, a cui Venezia è strettamente legata: “È una conseguenza naturale della topografia veneziana, dei vicoli tortuosi e sguscianti come anguille, che alla fine ti portano a (…) una piazza con una chiesa al centro, incrostata di santi, che ostenta nel cielo le sue cupole simili a meduse. Qualunque meta tu possa prefiggerti nell’uscire di casa, sei destinato a perderti in questo groviglio di calli e callette che ti invitano a percorrerle fino in fondo, ti lusingano e ti ingannano, perché in fondo c’è quasi sempre l’acqua di un canale…”. Generalmente, dato il paragone dei monumenti con gli elementi del mondo sottomarino, si può notare un tentativo dell’autore di combinare,o meglio, convergere l’opera dell’uomo e l’opera della natura.

In generale l’opera è una dichiarazione d’amore per Venezia, ma non mancavano nella sua vita sentimenti d’affetto anche per una veneziana: la contessa Mariolina Doria De Zuliani, nota professoressa di slavistica e di cultura russa. L’autore non nasconde l’attrazione che prova per la bellezza della contessa, tanto da perdonarle le sue simpatie comuniste, né la sua gelosia perché convinto che lei avesse una relazione con Merab Mamardashvili, filosofo sovietico di origine georgiana, con cui lei tuttavia “non aveva nessun altro rapporto che non fosse l’amicizia”[2].

Generalmente, tutta la raccolta dei saggi si può considerare una collezione dei ricordi più preziosi per l’autore. I ricordi sono come fotografie segnate nella memoria del poeta (edifici, personaggi, pitture, ecc). Forse a Venezia ha cercato di consolarsi del trattamento nel suo paese natale. Egli amava anche l’Italia, in generale, come dimostra la sua raccolta di Poesie italiane. Citando la poetessa russa Anna Achmatova, scrisse che “l’Italia è un sogno che dura fino alla fine dei tuoi giorni.”

 

[1] Saggio 19 “Fondamenta degli incurabili” (tradotto dall’autore dal russo)

[2] “Perché Josif Brodskij festeggiava ogni natale a Venezia” – articolo (in russo) con l’intervista con Mariolina Doria de Zuliani. Ria-Novosti, 19.12.2013. URL: https://ria.ru/20131219/985202231.html


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