La storia di Napoli che si ribella (e no, stavolta non è un film di Tarantino) e la mal gestione del potere

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di Benedetta Spizzichino

 

“Hanno fatto bene” si legge sui social. E si legge anche “speriamo che questo sia solo l’inizio”. Stanotte Napoli si è ribellata; i cittadini campani sono scesi in piazza al grido di libertà (è forse giunto il momento di fare paragoni con la rivoluzione francese? Spero e credo di no) per protestare contro il provvedimento di coprifuoco, preso in autonomia dal Presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca, e contro la contemplazione di un nuovo lockdown. Non sono mancati affronti ai corpi di polizia e carabinieri, sfondamenti delle linee di sbarramento, lanci di bombe carta e fumogeni. Come non sono mancati gli assembramenti, e, sicuramente, i contagi.
I dati oggettivi sono due: la gente é stanca e il sistema sta fallendo.

Ma ci sono altri dati su cui riflettere, quelli che i giornali non ci raccontano come dovrebbero e il popolino o i self-declared intellettuali preferiscono tacere, perché il gusto della rivoluzione è tanto disastroso quanto dolce.
Ci sono comuni nel napoletano che a malapena dispongo di strutture ospedaliere. Ufficialmente non ci sono più posti letto Covid già da cinque giorni (come riportato da Fanpage).

Napoli dispone di 301 posti in terapia intensiva, per un totale di 972.130 persone, secondo gli ultimi dati ISTAT del 2016. In 10 giorni sono stati registrati 14.295 nuovi positivi, e le statistiche impennano come mai prima d’ora. Questi sono i fattori che hanno portato De Luca a trarre le sue conclusioni. La conseguenza più prevedibile degli eventi di stanotte sarà un ulteriore e insostenibile aumento dei contagi (perciò davvero “i napoletani hanno fatto bene”?)
La sanità è al collasso, ma anche il popolo. E non ci vuole una laurea per capire che i cittadini sono stanchi del malgoverno ad un punto tale da fregarsene della propria incolumità fisica. Tuttavia, com’é ormai tristemente espressione comune, “o si muore di Covid o si muore di fame”, e stanotte i Napoletani hanno scelto di non morire di fame. Quello che non sanno, o che non sembrano capire, é che con una morte viene pure l’altra.
Ecco allora che monta la rabbia davanti alla disperazione e al prospetto di un nuovo, definitivo blocco; nessuno sa cosa fare, l’Italia intera è stretta in un vicolo cieco senza alcuna direzione e direttiva.

La classe dirigente, dal canto suo, ha voluto dapprima mettere gli italiani alla prova e poi temporeggiare davanti all’imminente devastazione di una seconda ondata. É stata testata la soglia di tolleranza del popolo, con risultati ottimi; siamo stati zitti e ubbidienti finora, chi più e chi meno, con l’imposizione della forza ma anche con l’utilizzo del solo buonsenso nei momenti in cui era veramente necessario. Abbiamo vissuto reclusi in casa per tre mesi, con lievi e graduali allentamenti delle misure che non ci hanno però tolto la sensazione di continuare sotto lockdown, e, a buon conto, il sesto senso non sbaglia mai. Non siamo realmente usciti dall’isolamento, neanche in maniera parziale; il lavoro e quella poca socialità ancora permessa sono semplici palliativi per illudere il popolo che “andrà tutto bene”. I settori che si salvano dalla crisi non sono più di quelli che si conterebbero sulle dita di una mano, ma tra questi, non può che emergere la dirigenza politica stessa. Per dirlo in termini colloquiali, e vicini al popolo campano; “E politic? E ca’ glienè fott’ a chilli?” (Tradotto: I politici? E che gliene fotte a quelli?).

L’amministrazione, seppur pessima e per certi versi dispotica, continuerà ad essere finanziata e ad autofinanziarsi.
C’é allora da valutare l’opzione che la ribellione sia giusta e i motivi sbagliati. Se i cittadini di Napoli si sono sollevati in sola ragione del coprifuoco, allora, Houston, abbiamo un problema. Ma lo avremmo anche se se si fossero sollevati in sola ragione economica. I motivi non possono e non devono essere questi, se si vuole realmente arrivare ad un cambiamento; c’è necessità di ragioni solenni che vadano oltre l’emergenza e oltre l’agitazione degli animi.

Il vero, grande problema, é il sistema stesso: é il modo in cui lo abbiamo instaurato e il modo in cui ignorantemente continuiamo ad alimentarlo. Ancora una volta è colpa nostra; perché ci si ribella solo quando l’emergenza ci tocca da vicino la pelle, mentre fattori decisivi come la mancanza di fondi (e fondamenta, in molti casi) nelle scuole e negli ospedali non sembrano una tragedia fino a quando la partita della domenica non é più un buon modo di chiudere gli occhi. La classe dirigente che stanotte abbiamo insultato é la stessa che abbiamo votato. E l’abbiamo votata perché siamo ineducati. Può, in questo senso, soltanto andare peggio: un popolo arrabbiato e desideroso di ordine non farà che votare per un dittatore, contrariamente alle sue manifeste volontà di libertà, historia docet.

Bisogna ribellarsi solo dopo aver fatto culpa mea culpa, ma ormai è troppo tardi e allora l’unica soluzione sembra la ribellione violenta, nella speranza che col sovvertimento delle istituzioni da qualche parte magicamente affiori il vero e proprio cambiamento.
C’é poco da scherzare, signori, in un verso o nell’altro siamo all’apice della catastrofe.
La mia solidarietà va a tutte le madri e i padri di famiglia che si nascondono in bagno per non piangere davanti ai figli. Va a tutti quei figli che avevano sogni e obiettivi, e che come me, se li sono visti portare via.
Non andrà tutto bene, manc’ p o’cazz.


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