La Siria e la crisi russo-turca

HaTikwa, di Gavriel Hannuna
Il 15 marzo saranno passati 9 anni dall’inizio della Guerra civile siriana. Iniziata con delle proteste contro il regime oppressivo di Assad, è presto diventata un conflitto molto più ampio, trasformando la Siria in una polveriera e in un terreno di scontro tra potenze mondiali.
In questi giorni Turchia e Russia ci hanno dimostrato (ancora una volta) di essere i veri volti di questa guerra: pochi giorni fa la città di Idlib, una delle roccaforti ribelli, è stata nuovamente attaccata da Assad. Ciò ha causato in breve tempo un aumento delle migrazioni verso la Turchia, facendo arrivare il numero di migranti siriani in territorio turco a più di 3 milioni. Durante l’attacco, le forze aeree russe hanno abbattuto alcune postazioni turche, uccidendo 50 soldati e causando una crisi internazionale.
Di fronte all’indifferenza dei paesi europei, Erdogan ha deciso di ricordare ai suoi alleati l’importanza della Turchia per la loro sopravvivenza, aprendo i confini verso la Grecia ai rifugiati siriani. La Turchia fa anche parte della NATO, e ciò significa che, nel conflitto con la superpotenza russa, Erdogan non dovrebbe essere solo. Poco dopo l’apertura dei confini verso l’Europa, Erdogan e Putin hanno raggiunto un accordo per un cessate il fuoco a Idlib. Intanto i ribelli sembravano avere le ore contate, la Siria è diventata una distesa di macerie e ha perso milioni di cittadini tra rifugiati e morti. Il fatto che nelle trattative per un cessate il fuoco in Siria discutano Turchia e Russia ci dovrebbe far capire quanto la situazione sia destabilizzata, e ormai fuori dal controllo dalle forze siriane, che si reggono grazie all’appoggio di Russia e Iran.
Che interessi hanno Turchia e Russia a intervenire e ad alimentare questa guerra? L’interesse turco non è correlato alla Siria in sé, bensì ai curdi, un etnia che lotta per ottenere l’indipendenza nazionale: poco dopo l’inizio della guerra, il popolo curdo prese le armi in mano e si unì ai ribelli, conquistando una parte del nord della Siria, al confine con la Turchia. I curdi costituiscono il 18% della popolazione turca, ed Erdogan teme che possano seguire l’esempio dei loro fratelli in Siria, scatenando una rivolta. Ciò che Erdogan non vuole è ritrovarsi come Assad, a nascondersi in qualche bunker sperduto e aspettare la vittoria dell’esercito (semmai dovesse vincere).
Negli ultimi anni di guerra, la Turchia ha dimostrato di interessarsi quasi solamente al “problema” curdo, senza appoggiare altri gruppi ribelli, o senza attaccare con forza l’esercito di Assad. Cercando di prendere due piccioni con una fava, la Turchia vorrebbe conquistare una striscia di terra del nord siriano, che guarda caso combacia con parte del territorio curdo, e trasformarla in una zona cuscinetto (“safe zone”) dove trasferirebbe tutti i migranti siriani che ha assorbito per anni, e che il popolo turco non vede di buon occhio. Un cocktail di altissimi livelli migratori, crisi economica e autoritarismo si è dimostrato sempre efficace per smuovere le masse, che nel 2016 hanno mostrato la loro pericolosità con un tentato colpo di stato. Erdogan sta facendo di tutto per ridurre la pressione della situazione, e lo fa anche puntando il coltello dell’immigrazione alla gola dei suoi alleati europei, per chiedere più aiuti nella gestione dei migranti.
La Russia, invece, aveva buonissimi rapporti con Assad prima della guerra, ed è ancora nel suo interesse far restare a capo di una regione come la Siria un suo alleato. Se la guerra dovesse finire con una vittoria di Assad, questi si troverebbe a governare su di una polveriera ed a essere debitore della Russia, che userebbe la Siria come uno dei suoi nuovi giocattoli. Putin potrebbe continuare a prendersi petrolio e gas, mentre ciò che rimane del popolo siriano sarebbe di nuovo governato da un criminale di guerra o lasciato a marcire nella “safe zone” turca. I due leader potrebbero trovare un accordo e proteggere i loro rispettivi interessi in Siria, a discapito di una popolazione stremata e decimata, in guerra ormai da 9 anni, e che ha visto i suoi sforzi per liberarsi di un dittatore cancellati dagli interessi di altri due Stati.

L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.