La Parashà della settimana: Vayerà
di Jonathan Di Veroli
“Vayerà” significa “apparve”. Prende questo nome visto che Vayerà è una delle prime parole che troviamo nel testo. La Parashà è prevalentemente narrativa. Ci lascia però anche dei messaggi di condotta morale.
Nel brano Avraham riceve visita da tre angeli, ognuno con un compito diverso: uno per dire a Sarà che avrebbe generato un figlio, uno per distruggere Sodoma e uno per visitare Avraham ancora convalescente per via della Milà (circoncisione).
Dopo molte vicende narrate nel corso della Parashà, verso la conclusione si parla della “legatura di Isacco”. Il S. mette alla prova Avraham dicendogli di sacrificare suo figlio Itzchak sul monte Morià. Egli si fa coraggio, ma, un’istante prima di compiere il sacrificio, D. lo ferma dicendogli: “Non portare la tua mano sul ragazzo e non fargli nulla, poiché io ora so che sei temente del Signore (…).”. Sembrerebbe un verso ripetitivo. Perché dire sia di non portare la mano sul ragazzo, sia di non fargli nulla? Sarebbe bastata anche solo una delle due espressioni. Spiegano i maestri che il Patriarca aveva ormai recepito fortemente l’ordine del S., e voleva perlomeno fare a suo figlio un segno, un graffio o qualsiasi altra cosa. Invece no, D. gli dice di non sfiorarlo minimamente. Questo ci fa capire quale sia l’approccio corretto che dovremmo avere con le Mitzvot. Occorre non farle superficialmente solo perché ci sono state comandate, ma capirne il motivo e farlo non solo per D., ma anche per noi stessi. E come si capisce il vero motivo delle Mitzvot? Mettendole in pratica.
Shabbat Shalom.
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