La Parashà della settimana: Vaichì
di Jonathan Di Veroli
La Parashà di questa settimana descrive soprattutto gli ultimi giorni di vita del patriarca Yaacov, le benedizioni che dà ai figli e il lutto per la sua morte. Oltre ad essere la Porzione conclusiva del libro di Bereshit, ha un’ulteriore particolarità: è “setumà”, chiusa, attaccata alla Parashà precedente senza avere spazio tra l’una e l’altra come di solito accade.
Spiega Rashì che è “chiusa” perché con la morte di Yaacov si chiusero gli occhi e il cuore dei figli di Israele a causa della sofferenza della schiavitù che gli egiziani cominciavano ad imporre.
Rabbì Moshè Feinstein ritiene che il commento di Rashi ci stia dicendo qualcosa di più profondo, visto che è la Torà stessa a raccontarci che l’oppressione iniziò dopo la morte dei figli di Yaacov e non con la morte di quest’ultimo.
Spiegano infatti i Maestri che per capire questo commento bisogna analizzare attentamente il passo della Parashà che racconta la richiesta di Yaacov a Yosef di essere seppellito nella tomba di famiglia, situata nella grotta di Machpelà. Yosef, da Viceré, si ritrova a supplicare il Faraone e la sua famiglia per poter seppellire il padre secondo le sue volontà, cosa peraltro assolutamente lecita. Questo ci fa capire che nonostante l’importanza di Yosef in Egitto, doveva sempre fare riferimento alla famiglia reale. Questo non è l’inizio della schiavitù, ma il suo primo sintomo. La schiavitù è nata dopo il trasferimento del Popolo d’Israele in una terra che non è la propria.
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