La parashà della settimana: Terumah
di Ruben Caivano
Nella Parashà di Terumà, il Signore comanda a Moshè di far costruire il Mishkan, un tabernacolo mobile, che accompagni il popolo ebraico durante il viaggio nel deserto. Secondo Rav Sacks, il Mishkan è la prima dimora per il Signore costruita dagli ebrei. Tuttavia, l’idea può essere paradossale: come è possibile costruire una dimora per il Signore? Egli è più grande di qualsiasi immaginazione e ha accesso ovunque, dalla fossa più profonda alla montagna più alta, dai bassifondi di una città a un palazzo rivestito d’oro e di marmo. Questa domanda viene sollevata anche da Re Shlomó quando inaugura il primo Tempio di Gerusalemme: “Ma veramente il Signore risiederà sulla terra?” (I Re 8:27). Dunque, sembra impossibile e, da un certo punto di vista, anche inutile costruire una dimora per il Signore. La risposta però c’è ed è fondamentale: il Signore non vive nelle case, ma nei suoi costruttori. Egli non risiede in strutture di pietra, ma nei cuori delle persone. Nella Parashà è infatti scritto: “E mi facciano un santuario affinché possa dimorare in mezzo a loro” (Esodo 25:8) e non “possa dimorare in esso”.
Dimorare in ebraico è “Shachen”, che può significare anche “vicino di casa”. Dopo l’uscita dall’Egitto, il popolo ebraico ha bisogno di qualcosa che gli faccia sentire di essere vicino al Signore. Mentre i patriarchi e le matriarche parlano intimamente con il Signore, Egli appare ad Avraham e Sarah per annunciare la nascita di un bambino, a Rivkà per spiegarle perché soffre durante la gravidanza e a Yaakov in un momento della sua vita per dirgli di non avere paura. Così, il popolo ebraico, negli eventi delle dieci piaghe, della divisione del Mar Rosso e della caduta della manna, vede Il Signore come una forza irresistibile e una luce così intensa da rendere ciechi. È così che si fa costruire una casa per essere raggiungibile, non solo dalla guida di Am Israel, ma da ogni singolo membro del popolo ebraico. Shabbat Shalom.
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