La Parashà della settimana: Kedoshim
di Ruben Caivano
La parashà che leggeremo questo shabbat sarà quella di Kedoshim. Al suo interno sono presenti molte regole interpersonali. Secondo Rashì, Kedoshim sarebbe il sunto di tutta la Torà.
È scritto al verso 16 del capitolo 19: ” Non ti aggirerai tra il tuo popolo per fare maldicenza; non resterai fermo davanti il sangue del tuo fratello”. Da qui è possibile notare come non sia vietato fare maldicenza, ma di come non si possa andare a spettegolare, ovvero andare in giro per parlare di ciò che fanno gli altri. Quando una persona comincia a raccontare i fatti personali di altri è quasi inevitabile che arrivi a fare maldicenza. La Torà quindi da il modo per evitare che si arrivi al peccato del parlar male e cioè il dovere di non raccontare nulla degli altri sia per aspetti negativi sia per aspetti positivi.
Invece la mitzvà del non restare fermo davanti una persona significa soccorrere quest’ultima nel momento di bisogno. Un problema che i commentatori si pongono è il rapporto che c’è tra la prima mitzvà, il non spettegolare, con la seconda mitzvà del verso, ossia il non restare fermo davanti il sangue di una persona.
Perché la Torà ha messo insieme queste due regole? I chachamim spiegano che se una persona fa maldicenza e racconta aspetti negativi degli altri non potrà mai vedere le difficoltà altrui e non potrà mai aiutarlo. Una persona può capire le difficoltà del suo prossimo solo quando vede l’aspetto positivo degli altri.
La Torà, con questo verso, ci insegna che quando si fa maldicenza si è convinti di far del male agli altri, ma parlando continuamente male del tuo prossimo e non notando i problemi degli altri si abitua a perdere la sua umanità. Facendo quindi della maldicenza si causa del male verso gli altri, ma allo stesso tempo si cancella interamente una personalità.
Shabbat Shalom!
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