HaTikwa – “E-L norà alilah – D-o venerato per le Tue opere prodigiose, concedi a noi il perdono, nell’ora della Neilà!”
L’ultima preghiera di Yom Kippur è detta Neilà che significa “ Chiusura”, per ricordarci che le porte del pentimento, le porte del perdono che sono aperte dal Signore con particolare generosità in questo giorno, stanno per chiudersi, è tempo di affrettarsi senza distrazioni per cogliere questa disponibilità dell’Eterno. Il verbo “noel”, da cui il vocabolo “ Neilà” può anche esprimere il concetto di racchiudersi in un intimo colloquio, il ritrovarsi in un dialogo sincero con noi stessi, con il coraggio di guardare veramente dentro di noi con sincerità, per assumerci pienamente le nostre responsabilità, per guardare cosa c’è alle nostre spalle e quale futuro stiamo cercando di costruire, un colloquio che tanto più è intimo e profondo tanto più diviene anche un dialogo con Hashem, con il Signore, perché la Sua voce è dentro di noi ed è dentro di noi innanzitutto che possiamo cercare di metterci in ascolto per comprendere verso cosa Egli ci indirizzi, sempre lasciandoci la libertà di scegliere.
La preghiera di Neilà ha inizio con il suggestivo canto “E-L norà alilah”, che ci dà modo di sviluppare alcune riflessioni:
“ Metè mispar keruim…”- “Coloro che vengono chiamati “popolo poco numeroso” a Te rivolgono gli occhi e con sacro timore Ti invocano nell’ora della Neilà.
Queste parole evocano una realtà che ci inquieta sul nostro futuro; che fossimo un piccolo popolo ce lo dice già la Torà “ Non certo perché siete più numerosi degli altri popoli vi ha amati e scelti il Signore, poiché voi siete il più piccolo fra i popoli( (Deut 7,7) però la dispersione e le persecuzioni hanno via via ridotto la consistenza numerica delle nostre comunità, poi le tragedie della Shoà, le Aliot che hanno portato milioni di ebrei in Israele, gli inarrestabili processi di assimilazione che fanno perdere al popolo ebraico un numero crescente di nostri fratelli , a tutto questo si aggiungono il risorgere di antisemitismo, gravi eventi di carattere economico e sociale che in vario modificano il quadro generale delle società in tante parti del mondo; in questo contesto non parliamo solo più di “popolo poco numeroso” ma di intere comunità ebraiche, che rischiano propriamente di estinguersi. Lo viviamo direttamente con preoccupazione a volte con angoscia in molte delle nelle nostre comunità, sulle cui possibilità futuro esistono molti punti interrogativi. Cosa possiamo fare? Innanzitutto dobbiamo impegnarci tutti quanti a cercare di riavvicinare persone che sono lontane dalla vita comunitaria, spesso tali situazioni di presa di distanza non sono dovute a scelte ideologiche, tanto meno a vero e proprio rifiuto dell’identità ebraica, quanto a varie motivazioni che possono essere problemi di carattere personali, contrasti o screzi avuti con esponenti comunitari, scarso interesse nella vita e nelle attività comunitaria, in questo stato di cose ciascuno di noi, con parole appropriate, con un invito personalizzato, con semplici gesti di attenzione, può costituire l’occasione, lo stimolo a ritrovare legami e riannodare fili dispersi con la Comunità. Questo però non è sufficiente. Il testo del nostro inno dice “ Coloro che sono detti “popolo poco numeroso”, a Te rivolgono gli occhi”; rivolgersi a D-o significa certamente, innanzitutto, cercare l’aiuto del Signore, ma in questo gesto che il poeta descrive ci pare di scorgere insieme agli occhi, anche gli sguardi, i volti di persone che insieme compiono un medesimo gesto di preghiera, condividono sentimenti, preoccupazioni e speranze, momenti più e meno lieti, insieme cercano, tanti o pochi, di essere comunità; così anche noi cerchiamo di ispirarci e sviluppare questa immagine simbolica, anche noi cerchiamo di essere comunità privilegiando ciò che ci unisce nella nostra identità ebraica rispetto a ciò che ci divide , coltivando fra di noi legami di amicizia, manifestando pazienza e comprensione verso le debolezze altrui. Se apriamo i nostri cuori scopriamo di condividere molto di più di quanto crediamo, tante preoccupazioni ,certo, ma anche la fierezza dell’essere ebrei, di quello che l’ebraismo ha dato e ancora darà all’umanità tutta, quello che potrà dare l’ebraismo se ciascuno di noi si impegna a non considerarlo come un’eredità scontata ma un terreno che può continuare a dare i suoi frutti nella misura in cui viene coltivato, tenendo presente che coltivare l’ebraismo significa innanzitutto – Talmud Torah – lo studio di Torah, da piccoli, da adulti , in ogni età. Da questo impegno a ritrovare nello studio di Torà l’elemento vitale dell’ebraismo, possono scaturire la forza della convinzione e la chiarezza di idee per il nostro futuro , necessarie a compiere le scelte determinanti che portano a formare nuove famiglie ebraiche.
“ Shofekhim Lekhà nafhsham… A Te essi riversano il loro cuore, cancella le loro colpe e le loro mancanze , fa conseguire loro il perdono nell’ora di Neilà”.
A D.O chiediamo perdono per le nostre colpe e le nostre mancanze che sono verso di Lui, verso altre persone ma che, alla fine dei conti, le une e le altre, sono anche verso noi stessi perché rischiano di renderci aridi nell’anima e insensibili verso il prossimo. Le colpe verso il prossimo, sulle quali i nostri Maestri ci impongono di intervenire e porre rimedio personalmente sono qui ricordate con il termine “kachash”; nella Torah (nella Parashà di Vaikrà, Lev. 5,20-22) questo vocabolo ricorre tra l’altro per indicare tutta una serie di trasgressioni colle quali una persona nega al prossimo quanto dovutogli, ad esempio la restituzione di beni ricevuti in prestito o in deposito, oppure la consegna di un oggetto rinvenuto e reclamato dal legittimo proprietario, il pagamento di un debito regolarmente contratto o il salario pattuito con il lavoratore. Potremmo dire che nella nostra preghiera di Neilà questo vocabolo ci solleciti a ricordare in generale quello che sarebbe stato nostro dovere compiere verso altre persone, per impegni espressamente presi o perché avremmo potuto essere maggiormente solleciti alle altrui necessità, rispondendo ad un aiuto espressamente richiestoci e mostrandoci abbastanza sensibili da comprendere uno stato di necessità anche quando la persona, per pudore o vergogna, non ce lo chiede esplicitamente.
“Chon otam verakhem”… Abbi pietà e compassione di loro, fa giustizia dei loro oppressori e aggressori, nell’ora della Neilà.
Queste parole ci portano a concentrare il nostro pensiero sul ricordo delle persecuzioni subite e sulla amara constatazione di come a tutt’oggi popoli nemici desiderano ed agiscono con crudeltà per la distruzione dello Stato d’Israele. Dobbiamo sentire che il nostro essere ebrei , qua nella diaspora, è anche segno di condivisione di una comune lotta per l’esistenza che continua purtroppo a coinvolgere in prima linea i nostri fratelli nello Stato d’Israele. Noi chiediamo al Signore di proteggerci dai nemici ed in modo particolare da coloro che incessantemente mirano alla fine di Israele e gioiscono in modo barbaro per i colpi cruenti che mettono a segno; possiamo più intensamente chiedere aiuto all’Eterno nella misura in cui cerchiamo di metterci in sintonia con la Sua volontà; ricordiamo che è la Torah che ci rende popolo, è la Torah che fa si che Eretz Israel sia non solo territorio concreto dello Stato d’Israele, ma una Terra che in forma ideale appartiene a tutto il popolo ebraico, è la Torah che ha alimentato la nostra storia di millenni, che ci ha conservato in vita, è proprio la Torà che, definendo l’appartenenza al popolo ebraico secondo le norme stabilite dai nostri Maestri, fa si che anche il più laico israeliano sia per noi un fratello come il chassid di Bene Berak e di Mea Shearim.
“Ricorda i meriti dei loro padri e rinnova i loro giorni come in antico, nell’ora della Neilà.”
Quando si parla di padri nelle preghiere ci si riferisce innanzitutto ai patriarchi Abramo Isacco e Giacobbe , tuttavia possiamo aggiungere a questo significato principale anche un aspetto più intimo e personali, i nostri genitori, i nostri maestri, le nostre guide spirituali, coloro che ci hanno dato l’esempio essenziale di vita, di valori, di ebraismo, in alcuni casi fino ad accettare l’estremo sacrificio per non rinnegare la propria fede, per non abbandonare i propri cari e la propria comunità. In questo momento di intimo e sincero raccoglimento in noi stessi, ci chiediamo se siamo degni loro figli, loro discepoli, se abbiamo mantenuto il patrimonio spirituale che ci hanno affidato; lasciamoci per qualche attimo trasportare da ricordi,vicini e lontani di queste figure essenziali della nostra vita, non per suggestioni nostalgiche fini a se stesse ma per riflettere seriamente su come attuare i loro insegnamenti in condizioni di vita evidentemente diverse; questo è sempre stato uno degli obiettivi dell’ebraismo: trasmettere di generazione in generazione norme, principi e modelli di vita con rinnovata fedeltà nel contesto di condizioni di vita sempre diverse.
“Tizkù leshanim rabbot habbanim im haavott…Possiate meritare molti anni, i padri insieme ai figli, con gioia e letizia, nell’ora della Neilà.”
Che cosa può significare nel concreto questo auspicio: “ meritare molti anni, padri insieme ai figli”? Il testo augura che l’incontro sia motivo e fonte di gioia e letizia; la gioia e la letizia nell’incontro di padri e figli nel popolo ebraico è il sapere che c’è continuità, che c’è una famiglia ebraica, una casa d’Israele, un esempio, una traccia che prosegue nel futuro, che non si perde che è come una sorgente incessante, continua, che alimenta con acque di vita il corso del popolo ebraico. E tuttavia, anche quando i figli hanno preso strade diverse, ogni ebreo è sempre caro a D.O , tutti siamo come Suoi figli, Egli desidera il nostro bene ed attende pazientemente anche i più lontani, lasciando sempre una possibilità di riavvicinarsi. Infine nessuno di noi può sapere veramente quanto siamo più o meno vicini o lontani, poiché solo a D-o è veramente noto ogni nostro pensiero e solo Egli può giudicare a che punto siamo nel percorso della nostra vita.
Per questo ora sentiamo intensamente di essere uniti da un filo comune per il quale tutti insieme ci presentiamo al cospetto del Signore, tutti insieme riconosciamo i nostri errori, tutti insieme attendiamo e speriamo nel Suo perdono, tutti insieme, tutto il popolo d’Israele chiedendo a D-o” “Hashivenu HASHEM elekha venashuva – Fa o Signore che ritorniamo a Te e noi ritorneremo, rinnova la nostra vita come nei tempi antichi.”
Rav Giuseppe Momigliano
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.