La Memoria come fattore di coesione e connessione: il seminario di Yad Vashem
di Vittoria Rivka Bublil
Dall’8 al 16 maggio l’International School on Holocaust Studies (ISHS) ha accolto un gruppo di 18 persone per il seminario organizzato da Yad Vashem e dall’European Union of Jewish Students (EUJS). Questo progetto è stato avviato per trasmettere ai giovani la memoria della Shoah, quest’ultima studiata attraverso un approccio multidisciplinare.
Tramite l’utilizzo di testimonianze, fotografie, ultime lettere ed oggetti personali è stato possibile rivivere l’andamento degli eventi storici. Di fatto, Yad Vashem è la traduzione ebraica di Memoriale dei Nomi che mira a restituire il nome, la storia ma soprattutto la dignità a coloro che sono stati trasformati in numeri nei campi di sterminio nazisti. In fondo, ruota tutto intorno al concetto di perdita d’identità. Perciò, lo studio di uno dei periodi più bui della storia si è rilevato essere un fattore fondamentale per unire uomini e donne provenienti da molte diverse realtà europee. La memoria, pertanto, è divenuta un fattore di connessione e coesione.
Sebbene siano passati alcuni giorni dalla fine del seminario, è necessario ancora molto tempo per processare la quantità di nozioni che sono state spiegate.
Sebbene siano passati alcuni giorni dalla fine del seminario, è necessario ancora molto tempo per processare la quantità di nozioni che sono state spiegate. Esperti, professori e sopravvissuti hanno condiviso le loro conoscenze e le loro esperienze, investendo sulle generazioni future. Dopotutto, sono i giovani che hanno il compito di assicurare un avvenire migliore e far si che gli esseri umani non vedano più quello che Sami Modiano, Alberto Sed o Rena Quint hanno dovuto vedere.
In una settimana è stato possibile tornare indietro nel tempo, ripercorrendo la storia degli ebrei a partire dal periodo dell’anteguerra. Dalle prime discriminazioni, alla creazione dei ghetti fino alla deportazione nei campi di sterminio si è visto come la situazione degli ebrei si sia aggravata giorno dopo giorno. Abbiamo memorizzato volti, provato sentimenti e
conosciuto tradizioni che, in un batter d’occhio, sono state terribilmente distrutte. In questo modo, abbiamo tentato di restituire un’identità a coloro che sono stati de-umanizzati durante la Seconda Guerra Mondiale. Per questo motivo, de-umanizzazione è la parola che mi porto via dal seminario. De-umanizzazione di uomini, donne e bambini che sono stati spogliati dei loro averi, separati dai loro affetti, umiliati e sterminati, solo perché nati ebrei.
A questo punto, vorrei sottolineare il ruolo fondamentale che hanno avuto due diversi soggetti: le donne ed i bambini. In primoluogo, vi sono le donne hanno vissuto la Shoah in maniera completamente diversa da come l’hanno vissuta gli uomini, poiché private della loro femminilità. Nonostante ciò, esse hanno rappresentato degli Spots of Light, in quanto sono riuscite a rimanere donne, lavoratrici e madri. Soprattutto madri, che hanno accompagnato i loro figli fino all’ultimo istante, rinunciando alla loro stessa esistenza. In secondo luogo, vi sono invece i bambini, fonte di luce che è stata tremendamente spenta. Loro, infatti, hanno costituito gran parte delle vittime uccise nei campi di sterminio. La guerra gli ha privati della loro infanzia e ingenuità, spezzandogli vita nel fiore degli anni. Per ricordare la loro luminosità, nel 1986 il museo di Yad Vashem ha inaugurato il Memoriale per i Bambini con il quale è stato possibile dare un posto a tutti i bambini che furono sterminati.
Nonostante ciò, durante i workshop e le lezioni abbiamo imparato il valore di un altro fattore che ha costantemente accompagnato gli ebrei: la speranza. Di fatto, la storia ci testimonia che anche durante la guerra un piccolo spiraglio di luce vi è sempre stato. Questo grazie a coloro che hanno avuto il coraggio di rischiare la propria vita per salvare quella del prossimo, per esempio, nascondendo famiglie ebree, o anche con gesti più piccoli ma con un immenso valore. Una parte del museo di Yad Vashem è dedicata proprio ai Giusti fra le Nazioni, coloro che hanno protetto la vita degli ebrei, opponendosi alla più grande violazione dei diritti umani. È importante quindi ricordare I Giusti, perché, come ci insegna il Talmud, “Chi salva una vita, salva il mondo intero”.
Con la speranza che la memoria di ciò che è stato ci sia di insegnamento per un futuro migliore. Auspicio, che, mi auguro non rimanga vano.
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