La difficile battaglia di Israele contro le droghe
Il 12 febbraio scorso la Corte Costituzionale ha abrogato la legge Fini-Giovanardi che dal 2005 ha regolato l’uso delle sostanze stupefacenti. Tornerà quindi in vigore la precedente normativa “Iervolino- Vassalli” che differenzia le sostanze tra droghe “leggere” e “pesanti” e antepone sanzioni amministrative prima che giudiziarie. Con le motivazioni della sentenza non ancora depositate, è ancora presto per dire cosa accadrà nella pratica in Italia, soprattutto per i detenuti finiti in prigione per reati di droga, ma in generale si prevede un allentamento delle pene, mentre non si prospettano novità per l’uso della cannabis a scopo terapeutico, attualmente consentita solo ed esclusivamente ai malati di sclerosi multipla.
E in Israele? Dietro ad una legislazione apparentemente rigida si nascondono falle nel sistema di prevenzione e repressione che hanno portato ad un aumento del traffico e del consumo di droghe.
In Israele la legislazione non distingue tra droghe più o meno pesanti. Solo la prima volta che si viene colti in possesso per uso personale (le quantità considerate tali vanno dai 0,3g per la cocaina ai 15g per la marijuana) non si viene perseguiti, ma dalla seconda scattano le sanzioni – prevalentemente amministrative. Per quanto riguarda invece la produzione, il traffico e lo spaccio, le pene comportano detenzione dai 3 ai 25 anni e sanzioni pecuniarie. Israele è infatti un importante crocevia per il traffico internazionale di stupefacienti, soprattutto dall’Africa all’Europa attraverso il Libano e l’Egitto.
Seconda considerazione è che Israele è in realtà molto tollerante per quanto riguarda l’uso della Cannabis in ambito terapeutico, tanto che è il primo paese al mondo in questo senso per percentuale di abitanti che ne fanno uso (attualmente 11.000 pazienti e in crescita ogni anno), utilizzata non solo dai malati di cancro e sclerosi multipla, è molto diffusa anche tra i veterani di guerra colpiti da Disturbo Post-Traumatico da Stress. Anche se attualmente sono solo una ventina i medici autorizzati a prescrivere la cannabis, è stato recentemente presentato un disegno di legge che allarghi questa facoltà a tutti i medici di famiglia. Ma l’effettivo ottenimento della sostanza non è così semplice: recentemente l’Ospedale Shiba, il principale centro per la cura del dolore in Israele, ha smesso di accettare nuovi pazienti – migliaia ogni anno – per questioni burocratiche legate ad una mancanza di chiarezza nelle norme relative alla somministrazione di cannabis da parte del Ministero della Salute. Questa presa di posizione riflette l’atteggiamento dell’Associazione Medici Israeliani che si oppone fermamente non solo alla legalizzazione della cannabis, ma anche al suo uso terapeutico, e che recentemente ha scritto al Ministro della Salute Yael Bergman, dichiarando che non si tratta di una medicina, che non sono stati ancora stabiliti standard chiari riguardo ai dosaggi da utilizzare ed esprimendo preoccupazione per gli effetti a lungo termine.
Dal 1999 in Israele è anche attivo un partito politico il cui scopo principale è proprio la legalizzazione della cannabis, della marijuana e dell’hashish: Ale Yarok – La foglia verde, che però non è mai riuscito a superare la soglia di sbarramento e ad entrare in parlamento.
Eppure sono almeno due i siti internet attivi che promettono di acquistare marijuana on-line e di riceverla direttamente a casa. In uno dei due casi si paga l’equivalente in Bitcoin di 100 Shekel (circa 20 Euro) al grammo. Nel secondo si tratta di una pagina Facebook che conta oltre quindicimila “like” e che richiede invece un’offerta libera per il sostegno alla liberalizzazione. In cambio si riceve una dose.
Secondo i dati, il 9% degli israeliani fa regolare uso di marijuana – una percentuale minore rispetto ad altri paesi occidentali dove la cifra si aggira di media intorno al 12%. Per quanto riguarda la cocaina, invece, l’Autorità Anti-Droga riporta che il numero dei consumatori è raddoppiato tra il 2005 e il 2009, con l’1% degli israeliani tra i 18 e i 40 anni coinvolti.
Un nuovo e inquietante fenomeno sono infine le decine di chioschi che vendono cannabinoidi sintetici molto simili alle anfetamine e che sono spuntati come funghi negli ultimi 2-3 anni nel centro di Tel Aviv. Noti come “negozi di incenso”, si tratta di stanzini di pochi metri quadri – più che altro grossi sgabuzzini – arredati solo con un paio di mensole dove vengono esposti questi sostituti della marijuana e le cartine. La polizia al massimo può far chiudere il negozio per qualche giorno per sospetto di vendita di sostanze illegali, ma non esiste una regolamentazione in merito a questi prodotti, che tra gli effetti collaterali danno anche nausea e allucinazioni, oltre ad assuefazione.
Questi fatti, le falle burocratiche della legislazione e quelle del sistema di repressione, fanno sembrare la lotta contro le droghe in Israele sempre più lontana da vincere per lo Stato. La strada è lunga. Sarà necessario revisionare una legislazione approvata ormai quarant’anni fa, allargandola ai nuovi fenomeni, trovando modi per farla applicare in maniera effettiva incrementando il potere della polizia in questo senso e chiarire le norme sull’uso della cannabis terapeutica.
Alessia Di Consiglio
Foto di Daniele Di Nepi
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