2 Aprile 20203min

La capacità di dire “grazie”

aron

HaTikwa, di Redazione

Questa settimana leggiamo la seconda Parashà del libro di Vaykra: Parashat Tzav.

La Parashà spiega la funzione dei sacrifici, pratica che non viene più eseguita da millenni, ma che ai tempi del Santuario rappresentava un gesto di lode a Dio.

L’uomo lodava Dio, lo ringraziava per diversi motivi. Per averlo salvato da un lungo viaggio per esempio, o per averlo salvato da una malattia. Il sacrifico, che nella storia è stato sostituito dalle preghiere, rappresenta appunto la capacità di ringraziare il Signore.

Quanto è importante saper ringraziare? Oggi più che mai. 

Non a caso, nella religione ebraica, la prima cosa che l’uomo deve fare appena si sveglia la mattina è recitare la preghiera “Mode ani”, che in italiano si traduce come “Ti ringrazio”.

Il periodo storico che stiamo vivendo ci sta ricordando che nella vita nulla è scontato. Ciò che prima ci sembrava assolutamente ovvio, oggi non ci convince più. Se prima prendere un aereo e oltrepassare l’oceano ci sembrava semplice, oggi ci rendiamo conto di quanto sia complicato. Se prima svegliarsi la mattina faceva parte di una routine naturale, oggi ci risulta essere un piccolo miracolo.

La Parashà di Tzav non fa altro che ribadirci ciò che in questi giorni stiamo vivendo sulla nostra pelle. La Parashà di Tzav ci insegna che non dobbiamo dare nulla per scontato, che dobbiamo apprezzare i piccoli e grandi miracoli che ci capitano ogni istante. Ma soprattutto la Parashà ci insegna che dobbiamo ringraziare sempre. Dobbiamo ringraziare Dio, i nostri genitori, i medici che non vedono le loro famiglie da settimane per prendersi cura dei malati, i vicini che escono in balcone per tenerti compagnia quando ti senti solo. Ecco, a tutti loro e talvolta anche a noi stessi, dobbiamo imparare a dire grazie.

Shabbat shalom e un augurio di pace e salute a tutti i nostri lettori.

 


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