‘La battaglia di Algeri’ di Gillo Pontecorvo compie 50 anni

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battaglia1In occasione dei cinquant’anni dall’uscita, durante la 73° Mostra internazionale dell’arte cinematografica di Venezia è stata proiettata la versione appositamente restaurata della “Battaglia di Algeri”, il capolavoro di Gillo Pontecorvo già Leone d’oro nel 1966. Il film adotta un registro documentaristico, in equilibrio tra resoconto storico e drammatizzazione. Il risultato è un finto documentario estremamente verosimile, ma senza che sia stato utilizzato alcun fotogramma di immagini d’archivio. La stessa qualità dell’immagine è leggermente sgranata, in modo da dare l’idea di un documentario filmato in presa diretta. Con la sua consueta acribia, Pontecorvo lavorò al film per sei anni, scegliendo attori non professionisti, tranne Jean Martin che veste i panni del colonnello francese Mathieu, e dirigendoli magistralmente proprio ad Algeri, dove si svolsero le riprese.

“La battaglia di Algeri” riesce dunque a costruire un equilibrio tra ricostruzione e finzione; similmente, è un raro esempio di equidistanza nel raccontare la fase più acuta della guerra d’Algeria, tra 1954 e 1957. Pontecorvo non esita a mostrare padri e madri di famiglia francesi che linciano un passante arabo percepito come una minaccia, ma non si tira indietro quando si tratta di evidenziare il terrorismo adottato dal Fronte di Liberazione Nazionale e le stragi nei bar dei quartieri occidentali. Quello di cui il film è privo è la retorica, che invece non è mancata in Francia, dove l’opera è stata recepita con un prolungato ostracismo. Il lavoro di Pontecorvo non ambisce però a una posizione ondivaga o a una incolore medietà: secondo lo stesso regista “l’intenzione nostra era raccontare il dolore, la fatica, gli sforzi immensi di tutta una popolazione che vuole a tutti i costi nascere come nazione libera”.

battaglia2L’innovazione narrativa forse più significativa è proprio questa: descrivere una popolazione, tratteggiare insomma un personaggio corale. Diversamente da quanto avviene di prammatica nell’industria dei sogni, nella “Battaglia di Algeri” non esiste un protagonista unico, sia esso eroe o antieroe, capace di tenere la scena, di gestirla: protagonista è il collettivo. Questa scelta, coerentemente perseguita sul piano formale, insieme all’impiego di attori non professionisti, a un montaggio incalzante e a una fotografia ritrattistica che indugia a lungo sulla drammaticità dei volti, fa pensare a un modello teorico ma anche estremamente concreto come Sergej M. Ejsenstejn. Con la differenza fondamentale che Pontecorvo non pone le sue scelte al servizio di un’ideologia, e questo a prescindere dalle proprie opinioni private.

Gillo Pontecorvo
Gillo Pontecorvo

Per quanto ne so, “La battaglia di Algeri” rimane un unicum nella storia del cinema: ha aperto una via che nessun altro ha provato finora a percorrere fino in fondo. E’ un classico, un film per definizione senza tempo, eppure sono molti i motivi che lo rendono anche un film attuale. La descrizione del movimento delle masse che spingono il motore della storia fa pensare inevitabilmente alla pervicace diffusione, oggi nel mondo arabo, dell’idea che il corso della storia stia finalmente girando. Non so dire quanto si tratti di percezione capillare e quanto di realtà, tuttavia credo che la percezione stessa sia già di per sé una realtà molto più solida di quanto talvolta venga considerata. D’altra parte una simile convinzione, accompagnata dalla forza che hanno sempre i numeri dei trend demografici, è sempre più diffusa anche in un Paese per altri versi assai differente dal mondo arabo come Israele, soprattutto presso coloro che si identificano nel nazionalismo religioso e si considerano depositari di un inquietante discorso messianico da applicare alla politica. Si tratta, in entrambi i contesti, di un’idea accompagnata dall’assurgere della tribù, del gruppo, della massa a vero soggetto che agisce sul palcoscenico della storia, proprio come nella “Battaglia di Algeri”.

Giorgio Berruto, responsabile di Hatikwà, l'organo dell'Ugei. Vive e lavora a Torino
Giorgio Berruto, responsabile di Hatikwà, l’organo dell’Ugei. Vive e lavora a Torino


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