Israele in guerra: che succede ora?

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di Emanuele De Benedetti*

 

Gli eventi che si sono susseguiti a partire da sabato 7 ottobre aprono una serie di possibili scenari e conseguenze potenzialmente capaci di trasformare, ad “effetto domino”, il volto d’Israele, del Medio Oriente e del mondo.

Alle ore 06:30 ora di Gerusalemme (IST), il gruppo terroristico di Hamas, riconosciuto come tale da USA, Israele, Canada, Europa, UK, e, limitatamente alla sua ala militare, anche da Australia e Nuova Zelanda, ha lanciato un attacco a sorpresa contro lo Stato Ebraico, al grido di “Alla hu Akbar” e “Uccideremo tutti gli ebrei”. Trascurando la banale obiezione che non tutti gli ebrei sono israeliani e non tutti gli israeliani sono ebrei, cerchiamo di analizzare gli eventi che hanno portato all’uccisione di circa 700 israeliani, al ferimento di più di 2000 persone e al rapimento di un numero imprecisato di persone, inclusi bambini, anziani e donne.

Il fallimento da parte dell’intelligence israeliana è evidente e innegabile, ma perché è successo? Da circa dieci mesi, la società israeliana è spaccata a causa delle riforme del sistema giudiziario pretese da Benjamin Netanyahu, il Primo Ministro israeliano. I progetti governativi in tal senso hanno indotto moltissimi militari a rifiutarsi di prestare servizio nei loro turni di riserva. Tra i soldati e gli ufficiali che si sono dichiarati indisponibili, ci sono anche molti operatori dell’intelligence. Israele ha sempre fatto dell’informazione una delle sue armi più potenti, ma dato il ridotto numero di uomini disponibili per l’intelligence militare (AMAN), i servizi segreti esterni (Mossad) e quelli interni (Shabak), gli sforzi sono stati concentrati su altri scenari, tradizionalmente molto più pericolosi, ovvero il Libano e il grande burattinaio: l’Iran.

Altro fatto non marginale è l’operazione nella Cisgiordania (West Bank), che prosegue da mesi, e che ha sottratto uomini e mezzi alla sorveglianza del fronte di Gaza. Iniziata per estirpare le cellule di Hamas infiltratesi nella regione ed il gruppo “La Tana dei Leoni” (The Lions’ Den). Le operazioni dell’esercito in Cisgiordania hanno portato ad un numero considerevole di vittime da parte palestinese, che hanno parenti e amici tra gli arabi israeliani. Si può ipotizzare che questo abbia probabilmente indotto molti arabi israeliani a fornire supporto logistico, se non militare, ad Hamas.

Nel frattempo, Hezbollah, l’organizzazione terroristica sciita libanese finanziata da Teheran, ha proseguito senza sosta nel tenere il fronte Nord di Israele sotto pressione con provocazioni multiple durante i mesi scorsi. L’operazione di disturbo (harassment) è iniziata con l’installazione di due tende nella zona di “Sheba Farm”.

La situazione si è poi ulteriormente aggravata con le reiterate “punzecchiature” al confine tra l’esercito libanese regolare (LAF) e quello israeliano.

 

Figura 1, Tende di Hezbollah nella zona di “Sheba Farm”.
Figura 2, posizione delle tende nella zona di “Sheba Farm” vista aerea.

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 3, evidenziati soldati israeliani. Prospettiva dell’immagine da parte libanese.

Tutto questo ha minato il livello d’attenzione delle forze di sicurezza israeliane, che, fra l’altro, si sono anche affidate troppo alla tecnologia, soprattutto per quanto riguarda la raccolta delle informazioni. In particolare, è evidente, da parte israeliana, una grave carenza nel fattore HUMINT (Human Intelligence), ossia quelle informazioni che raccolgono gli agenti direttamente sul campo. L’operazione di Hamas è stata condotta nel più assoluto silenzio.

Ultimo fattore da tenere in considerazione è la tempistica. Mohammed Bin Salman, Principe ereditario dell’Arabia Saudita, aveva detto lo scorso 20 settembre che il Regno era “ogni giorno più vicino ad una normalizzazione con Israele”. Questo è stato percepito dai palestinesi come un abbandono della loro causa ed ha probabilmente influito notevolmente sulla scelta di attaccare.

Figura 4, il momento dello sgancio di un pezzo di mortaio da un drone su un Merkava M

Quello che impressiona è il livello di sofisticazione dell’attacco, che indica una pianificazione di mesi, almeno sei se non di più. A parte le spettacolari irruzioni con le motociclette, i parapendii a motore e i gommoni, Hamas ha evidentemente mandato i propri uomini a prepararsi all’estero ed ha chiaramente preso appunti dal conflitto in Ucraina, dove gli ucraini da mesi utilizzano droni dai costi irrisori per mettere fuori servizio i carri russi. I palestinesi hanno fatto la stessa cosa. Non solo, sono anche stati in grado di adattare la tattica alla loro esigenza, ovvero quella di eliminare i sistemi “Rohe Yoreh” (Vedo e Sparo). Hanno infatti utilizzato il sistema per eliminare le Browning calibro .50 automatiche in cima alle torrette di vedetta, impedendo alle sentinelle di ingaggiare i miliziani da remoto.

 

 

Figura 5, Visuale del sistema Rohe Yoreh da parte del drone di Hamas.
Figura 6, piazzamento di un ordigno esplosivo improvvisato (IED) sulla Browning per disattivarla.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Che Israele abbia subito un trauma senza precedenti è evidente, così come è altrettanto chiaro che la risposta sarà massiccia e che la performance dell’esercito non si sia dimostrata all’altezza della sfida è innegabile. Passiamo però agli scenari possibili.

Per quanto riguarda il Libano, Hezbollah ha tre opzioni davanti a sé. La prima è non fare nulla, limitarsi a lanciare un paio di razzi e di colpi di mortaio come ha fatto domenica 8 ottobre, e rinunciare ad aprire un secondo fronte. È uno scenario del tutto improbabile. Hezbollah mantiene la propria legittimità interna sul concetto di “resistenza” all’“occupazione sionista”. Soprattutto dopo che il Porto di Beirut è stato spazzato via dalla grande esplosione nel 2020, Hezbollah ha perso credibilità e consensi, e se non intervenisse nel conflitto perderebbe una quota di supporto fra i libanesi che non si può permettere. In questo caso Israele avrebbe la possibilità di focalizzarsi interamente sulla guerra ad Hamas, ma, come abbiamo detto, si tratta di un’eventualità assai remota.

Il secondo è che Hezbollah intervenga ora, cercando di cogliere Israele ancora sotto shock per quanto avvenuto con Gaza e spezzando il fronte israeliano in due. In questo caso è probabile che Hezbollah voglia scommettere su un intervento del resto del mondo arabo, che sarà interessante vedere come reagirà dopo gli Accordi di Abramo e i recenti scambi bilaterali che ci sono stati con Israele. Tale scenario è possibile, ed anche le speranze di Hezbollah di un intervento ulteriore da parte dei paesi arabi non sembra venire dal nulla. Domenica 8 ottobre, un poliziotto egiziano ha aperto il fuoco su un pullman di turisti israeliani uccidendone due. In questo caso Israele avrebbe la necessità di tenersi sulla difensiva al confine con il Libano per giorni se non mesi, fino al completamento delle operazioni a Gaza. Ciò sarebbe un problema in quanto porterebbe l’IDF a risparmiare sui propri sforzi a Gaza, per paura di una insostenibile escalation sul confine Nord, ma paradossalmente consentirebbe all’esercito di trovare un ritmo operativo costante durante tutto il conflitto.

Il terzo scenario è che gli sciiti attendano ed entrino a metà conflitto. Questo è forse lo scenario peggiore per Israele che si troverebbe a dover combattere anche su un altro fronte, dopo aver già utilizzato un numero considerevole di munizioni ed equipaggiamenti, e con le proprie truppe già stanche. Anche questo scenario, tuttavia, non è molto verosimile. La popolazione palestinese in Libano sarà in subbuglio affinché Hezbollah e l’esercito libanese intervengano a supporto di Hamas e, allo scopo di evitare ulteriori disordini con i palestinesi, che nei mesi scorsi hanno creato molti problemi e vittime in Libano, è probabile che Hezbollah intervenga prima del dovuto.

Entrambi questi scenari sono certamente inquietanti per Israele, tuttavia, i nemici del Popolo Ebraico hanno commesso un errore di calcolo: il fatto che la società israeliana sia stata divisa per mesi non significa che non sia in grado di ricompattarsi molto rapidamente, cosa che sta già avvenendo. Di più, è evidente che questa volta Israele ha tutte le intenzioni di annientare Hamas e probabilmente anche Hezbollah. Lo si evince anche dalle parole di Netanyahu che già sabato 7 ottobre, in un discorso alla Nazione ha detto: “Cittadini d’Israele siamo in guerra, non in un’operazione”. In termini militari questo significa che la risposta sarà molto più dura di qualunque cosa avvenuta dalla seconda Intifada ad oggi e che, come si suol dire, “Israele si sfilerà i guanti”.

Per quanto riguarda l’Iran, un intervento diretto sembra poco probabile. Teheran non è ancora in grado di attaccare massicciamente Israele agendo senza il supporto dei suoi proxies, ma è perfettamente conscia che invece Israele è in grado di bombardare Teheran e che avrebbe l’appoggio e il benestare, tacito o meno, sia degli USA che dell’Arabia Saudita.

Per quanto concerne la Siria, si può presumere che Assad proverà a compattare la propria popolazione contro il nemico comune. Ciò premesso, dopo oltre dieci anni di guerra civile, la Siria non rappresenta in sé un vero problema, e potrebbe diventarlo solo se le sue forze si sommassero a quelle di tutti gli altri eserciti e milizie antisraeliani che gravitano intorno alle alture del Golan e del Monte Hermon.

La Giordania e l’Egitto sono le due incognite più grandi. Amman è ufficialmente la protettrice del Waqf di Gerusalemme, ovvero di ciò che concerne il Monte del Tempio, come lo chiamano gli ebrei, o Spianata delle Moschee come lo definiscono i musulmani. Visto che l’operazione di Hamas ha come ostentata motivazione “la dissacrazione di Gerusalemme”, la Giordania deve riuscire a placare gli animi dei propri cittadini interni, molti dei quali di origine palestinese. Per quanto riguarda l’Egitto invece, ci troviamo di fronte al secondo attentato da parte di un poliziotto contro cittadini israeliani in un anno, il che induce a ritenere che Al-Sisi abbia un problema di infiltrazioni estremiste non trascurabile nei propri ranghi.

Figura 7, un soldato fa un post su Instagram chiedendo di aiutare la sua unità a comprare equipaggiamento balistico che non gli viene fornito dall’IDF. (la fonte non è confermata motivo della rimozione del numero di telefono)

Passiamo ai problemi da parte israeliana. Israele da decenni indulge alla politica che già portò ai problemi sofferti durante la Seconda Guerra del Libano (II LW). In primis, Israele come abbiamo detto, non ha fatto affidamento sullo HUMINT e si è adagiata sui vantaggi che le derivano dalla tecnologia e della forza aerea. Allocare i fondi del bilancio della Difesa privilegiando sempre  l’aeronautica, poi la marina e solo in ultima istanza le truppe di terra, quelle che alla fine vincono da migliaia d’anni i conflitti, porta fanti, carristi, genieri, artiglieri e tutti quelli intorno a sentirsi dimenticati dai piani alti, lasciati a marciare in un buco mangiando peggio dei loro colleghi dell’aeronautica e della marina, avendo la percezione, reale o irreale che sia, di rischiare mediamente assai più di marinai e piloti.

Durante la Seconda Guerra del Libano, uno dei motivi per i quali Israele perse di fatto il conflitto fu l’aver creduto di poter vincere con i soli cacciabombardieri. Il governo israeliano sta ricadendo nell’errore: ha appena acquistato un nuovo squadrone di F-35, mentre i fanti ancora non hanno i nuovi veicoli corazzati ruotati, che dovevano entrare in servizio attivo fin dall’anno scorso. Molti riservisti, soprattutto fanti e genieri, si lamentano di ricevere equipaggiamento obsolescente.

Figura 8, fuochi d’artificio in celebrazione dell’attacco terroristico ad opera di Hamas su Yafo.

Che Israele bombarderà Gaza ed entrerà con le forze di terra per tentare di recuperare gli ostaggi è garantito, così com’è certo che l’operazione sarà probabilmente la più brutale degli almeno ultimi 15 anni. Il controllo dei cieli è ciò che consentirà ad Israele di infliggere pesanti perdite ad Hamas limitando quelle israeliane, ma saranno poi i fanti comuni, non necessariamente le forze speciali, che dovranno fare irruzione nei palazzi per tirare fuori gli ostaggi, sperando che li individuino velocemente e che li trovino vivi.

Quando la situazione sarà tornata alla normalità, e ci vorranno dei mesi, Israele sarà cambiata per sempre. Gli israeliani non si scorderanno dei fuochi d’artificio degli arabi israeliani sopra Yafo nella notte tra sabato 7 ottobre e domenica 8 ottobre. Israele non dimenticherà la violenza, la ferocia e la brutalità dell’attacco subito e la possibilità di una pace sembra sempre più remota. Come la cosa evolverà nel lungo termine è imprevedibile, ma quel che è certo è che dopo il conflitto russo-ucraino, il Diritto Internazionale ha fallito nella sua missione, dimostrando di valutare i conflitti così come ha dimostrato di avere due pesi e due misure, e tutti ne prendono accuratamente nota.

 

 

*  Emanuele De Benedetti esperto di OSINT (Open Source Intelligence), Risk Assessment e geopolitica. Co-fondatore della Glaux Security Solutions. Laurea Magistrale in “Anti Terrorismo” alla IDC di Herzliya, Israele.

 


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