Israele guarda a Est
di David Fiorentini
In uno stravolgimento epocale, gli Accordi di Abramo hanno generato un grande entusiasmo, che per la prima volta permetterà a tutte le aziende israeliane di guardare alla propria regione, il Medio Oriente, per la ricerca di nuovi affari, senza doversi rivolgere ai mercati europeo o americano. Questo è stato il tema centrale di un dibattito tenutosi nel corso dell’ultimo Congresso della WUJS (World Union of Jewish Students), che ha avuto luogo dal 27 al 31 dicembre.
Si stima che Israele e l’UAE già intrattenevano rapporti commerciali in segreto, per un volume d’affari di circa un miliardo di dollari. Tuttavia, le imprese che avevano accesso a questo mercato erano pochissime, e le procedure di ammissione ovviamente erano estremamente complesse. Adesso che la porta ai paesi del Golfo si è spalancata, sono numerosissime le aziende che da Israele e dagli Emirati non vedono l’ora di immergersi in questo mare di opportunità.
Zeel Lavie, VP alle relazioni internazionali e allo sviluppo economico della Federazione delle Camere di Commercio Israeliane, ha raccontato come i prospetti economici della cooperazione tra Israele e l’UAE siano molteplici. Gli Emirati ormai non reputano più il petrolio una fonte di introito primaria, sono proiettati al futuro, e vedono in Israele un partner altrettanto innovativo e affidabile con cui intraprendere questo percorso di modernizzazione. Se l’alleanza militare strategica è una colonna portante dell’accordo, certamente non è da trascurare la natura economica del deal procurato da Trump e Kushner.
Gli UAE hanno in primis un interesse nel turismo: oltre 100.000 israeliani visiteranno nei prossimi mesi le esotiche destinazioni emiratine, così come quelle del Bahrain. In secondo luogo, c’è il settore immobiliare, che sarà ancora più movimentato non appena anche l’Arabia Saudita deciderà di normalizzare i rapporti con Israele, creando un collegamento via terra tra questi paesi. Dopodiché, non è da trascurare il discorso legato alle forniture alimentari: gli UAE prendono la sicurezza alimentare molto seriamente, e Israele, con le sue innovazioni agricole e le sue esportazioni, è il partner ideale per fronteggiare questo problema.
Infine, ci sono le famose Free Trade Zones, che hanno reso Dubai un hub mondiale per il commercio. CI sono oltre 30 zone completamente tax-free, in cui Occidente e Oriente si incontrano per sancire investimenti miliardari. La principale occupazione di Dubai, infatti, è il “re-export”: vi arrivano 400 miliardi di dollari di merci, che sono quasi interamente rivenduti e ri-esportati nel mercato globale. Non a caso, il più grande porto a ovest della Cina e uno dei più grandi aeroporti al mondo sorgono a Dubai, perché gli UAE sono ormai diventati la principale stazione per raggiungere i 2 miliardi di abitanti dell’Estremo Oriente.
Per Israele è ovvio che sia un grande successo. Entrare in questo nuovo mercato, attraverso la piattaforma di Dubai, è una clamorosa occasione per raggiungere più facilmente aree come l’India e la Cina.
Ma cosa ci guadagnano gli UAE? Per quanto i nuovi investimenti israeliani possano far comodo, ciò che veramente stravolge le carte in tavola per gli Emirati Arabi Uniti è la possibilità di guardare finalmente ad ovest: il 47% delle esportazioni emiratine è diretto verso l’Estremo Oriente, e solo il 4% verso gli USA; l’11% è verso l’UE. Sfruttando gli ottimi accordi economici tra Israele e gli Stati Uniti, gli UAE potrebbero anch’essi raggiungere un mercato prima d’ora precluso e ampliare la propria rete di commercio.
Numeri e percentuali esorbitanti, che certamente non passano inosservati ai vicini: l’Egitto, ad esempio, che nonostante la pace del 1978 scambia beni per un valore di soli 50 milioni di dollari con Israele, adesso è molto interessato ad ampliare il volume d’affari. Anche la Turchia, nonostante i rapporti diplomatici molto tesi, ha rapporti commerciali per ben 4,5 miliardi di dollari con Israele. Nessuno vuole rimanere indietro in questa frenetica “corsa all’oro”: Israele importa ogni anno circa 108 miliardi di dollari di beni e, prevedendo che la popolazione raddoppierà nei prossimi 30 anni, è innegabile che le opportunità di guadagno siano alle stelle.
Il passo definitivo sarà la normalizzazione con l’Arabia Saudita. Creando un corridoio tra i Paesi del Golfo e Israele, Dubai potrà raggiungere l’Occidente addirittura via terra, senza dover passare tra le pericolose acque del Canale di Hormuz, in cui proprio alcuni giorni fa una nave coreana è stata sequestrata dalla marina iraniana. Secondo Jason Isaacson, Chief Policy and Political Affairs Officer dell’AJC, però, l’Arabia Saudita non sarebbe ancora pronta per la pace. Il governo è favorevole, ma non può ignorare la marcata resistenza dell’establishment religioso, che tutt’oggi ha serie difficoltà a relazionarsi con gli ebrei.
In conclusione, l’auspicio è che le nuove relazioni economiche possano essere un’ulteriore via per rafforzare la pace, avvicinare i popoli e terminare i conflitti in Medio Oriente. Gli Accordi di Abramo, infatti, prefigurano anche un grande passo in avanti verso la pace con i palestinesi, visto l’ipotetico ruolo di intermediazione dei paesi del Golfo.
Nell’attesa, Israele può godersi questi meravigliosi avanzamenti, che senza dubbio costituiranno una marcia in più per la ripartenza del paese al termine della pandemia.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.