Israele arcobaleno: la situazione dei diritti LGBT

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Secondo una ricerca del Dialog Institute pubblicata da Haaretz nel dicembre 2013 e diretta dal Prof. Camil Fuchs, dell’Università di Tel Aviv, il 70% dei cittadini israeliani è a favore di pari diritti per la comunità omosessuale e il 59% sostiene l’introduzione delle unioni civili. Tra chi ha risposto all’indagine si sono definite evidenti differenze in base al gruppo etnico/culturale di appartenenza e alla zona di residenza, per certi versi simili a quelle messe in risalto dalle recenti elezioni politiche. Ad aver risposto negativamente al sondaggio sono soprattutto i haredim e, in misura sensibilmente minore, gli arabi (cristiani e musulmani) e quegli ebrei che tendono a definirsi religiosi, a portare la kippah e a votare per partiti di destra come HaBayt HaYehudi.

La geografia riflette in buona misura le divisioni: se Tel Aviv è considerata la capitale LGBT del Medio Oriente, a Gerusalemme il clima è meno disteso e anche in anni recenti si sono verificati episodi di discriminazione e aggressione, subito stigmatizzati dalle autorità politiche e perseguiti da quelle giudiziarie. A Tel Aviv, invece, numerose spiagge, locali ed eventi LGBT – tra cui un imponente Gay Pride – fanno della capitale economica del Paese un luogo tra i più gay friendly al mondo, che nel 2011 ha meritato il premio di “Migliore città gay dell’anno” del popolare sito arcobaleno Gaycities.com.

Israele, a differenza dell’Italia, riconosce l’unione delle coppie omosessuali con una formula che viene definita “coabitazione non registrata”. E’ la legislazione più avanzata dell’intera Asia, ma concede più diritti agli omosessuali anche rispetto a quella in vigore dalle nostre parti. Come evidenziano i dati del Dialog Institute, tuttavia, pur non essendoci un baratro come in Italia, sul tema dei diritti civili anche in Israele il Paese reale è più avanti rispetto a quello legale, e sarebbe doveroso che i rappresentanti politici ne prendessero atto. Se il prossimo governo vedrà la partecipazione dei partiti religiosi sarà probabilmente più difficile che accada, dal momento che questi hanno posizioni in generale rigidamente conservatrici e non di rado espressamente omofobe.

Il matrimonio tra persone dello stesso sesso non è consentito, ma questo è dovuto all’assenza, ad oggi, del matrimonio civile, un problema che per gli israeliani è sempre più urgente affrontare: l’unica forma di matrimonio è quella “religiosa”, di competenza esclusiva dell’autorità rabbinica. Come le coppie eterosessuali, anche quelle omosessuali vedono riconosciuto il proprio matrimonio contratto all’estero. Israele presenta inoltre una serie di leggi contro la discriminazione degli omosessuali nell’esercito, a scuola e sul posto di lavoro. Dal 2000 le donne lesbiche possono diventare madri adottive dei figli del partner e dal 2005 a tutte le coppie LGBT sono garantiti pieni diritti di adozione.

In generale, in Israele la comunità omosessuale è particolarmente folta e assume Tel Aviv a proprio centro di gravità. Nella città bianca vivono anche numerosi gay arabi palestinesi, anche se è difficile stabilirne il numero con esattezza; molti sono legati a partner israeliani, altri vi risiedono clandestinamente per il timore di venire rispediti indietro, e dover così subire quelle discriminazioni che sono la regola nei territori amministrati dall’Autorità nazionale palestinese e nella Gaza dominata da Hamas, come peraltro in tutto il Medio Oriente musulmano.

Giorgio Berruto


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