Israel Bemilchama – Ritorno in una Tel Aviv diversa
– Ho capito che la guerra sarebbe durata di più di quello che mi aspettavo, in quello che pensavo fosse uno degli ultimi giorni, quando il taxi che ci portava a casa dall’aeroporto ci guarda dicendo: “Israel bemilchama” (Israele è in guerra) con uno sguardo triste, mentre attraversavamo una Tel Aviv stranamente silenziosa e vuota.
– Ho capito che durante la giornata non fai altro che pensare a quando suonerà il prossimo allarme antimissile, e pensi a dove sarai quando dovrai correre a trovare riparo. Anche se a mente fredda sai che ci sono grandissime probabilità che non succederà nulla, in quei 30 secondi pensi a cosa succederebbe se il sistema di difesa facesse uno sbaglio, se quel missile stesse per cadere sopra la tua casa, o sopra la casa di uno dei tuoi familiari. Ho capito che in quell’istante non ti frega nulla che le probabilità sono basse: non aspetti altro che la sirena finisca, che si sentano i boati provocati dall’esplosione dei missili, che i tuoi amici e parenti scrivano che stanno bene e che il TG dica che non ci sono feriti. Poi pensi che c’è chi vive questa situazione anche 10/20 volte al giorno, e che non ha tempo di correre nei bunker, perché il missile arriva troppo presto.
– Ho capito che Israele ha scelto di non pensare troppo alla guerra mediatica. Ha investito nell’istallare bunker in quasi tutti gli edifici, sirene in ogni città, nel distribuire istruzioni a tutti i cittadini tramite tutti i canali e nello spendere molto in un sistema antimissile sofisticatissimo. Quando suona la sirena nella tua città, ringrazi Israele di aver fatto questa scelta. Ho capito che Hamas invece ha investito per vincere la guerra mediatica, decidendo di portare la guerra, quella vera, tra le case della gente. Che ha deciso di scavare tunnel di contrabbando e di assalto, e non bunker che avrebbero potuto salvare vite umane.
– Ho capito che si può dire la propria riguardo le mosse dell’esercito e del governo, se ritenuto opportuno. E che si deve poter fare senza essere aggrediti come si fosse dei traditori. Non va scordato però che Israele fronteggia il problema serio e profondo del terrorismo e che sta combattendo una guerra contro un nemico infame, nemico di Israele quanto nemico del popolo palestinese. Secondo alcuni (anche alcuni israeliani) lo fa in maniera sbagliata, ma non va dimenticato di fronte a quale pressione si trova il paese. Ho capito però che chi propone strade alternative a quella intrapresa dal governo lo fa, quasi sempre, per lo stesso motivo di chi supporta l’azione militare: trovare la strada per la sicurezza e la pace di Israele.
– Ho capito che qui nei TG fanno vedere tutto. Fanno parlare reporter da Gaza, esponenti da tutti i partiti israeliani (anche minoritari). Fanno parlare i cittadini del sud e quelli più lontani. Fanno parlare chi si arruola o chi si oppone.
– Ho capito che l’embargo di Egitto e Israele verso la striscia di Gaza ha il principale obbiettivo di limitare le capacità terroristiche e militari di Hamas. E che Hamas dice di lottare per togliere l’embargo tramite attività terroristiche e militari.
– Ho capito che è più interessante e stimolante discutere con un israeliano medio, trovandolo preparato ma pieno di dubbi e conflitti interiori, rispetto che discutere con un italiano medio, trovandolo meno preparato, ma molto più sicuro.
– Ho capito che quando pensi di aver capito tutto, e di aver formato un’idea precisa e decisa riguardo a quello che sta succedendo, accade qualcosa che ti fa riflettere ancora.
– Ho capito che questo è il conflitto può parlato e filmato del mondo. Non che sia un conflitto da ignorare, anzi. Ma che la quantità di attenzione, rispetto ad altre situazioni altrettanto importanti e più sanguinose, è strana.
– Ho capito che le legittime manifestazioni a sostegno del popolo palestinese in Europa prendono facilmente una piega violenta e in qualche caso antiebraica. E che anche questo è strano.
– Ho capito che, seppur hanno fatto fatica a calarsi nelle dinamiche mediorientali e che la loro mediazione abbia dato meno frutti di quel che ci si aspettava, demonizzare gli Stati Uniti non è una tattica vincente.
– Ho capito che i soldati sono un po’ i figli di tutti. Che nel centro di Israele, quando suonavano solo le sirene, la vita, anche se più silenziosa, andava comunque avanti. Ma che quando sono entrati e morti i figli, l’atmosfera è cambiata.
– Ho capito che bisogna isolare gli estremisti. Che questa situazione fa tendere i nervi, ma bisogna non lasciarsi trascinare e diventare aggressivi uno con l’altro.
– Ho capito, anche se già lo sapevo, che non è vero che tutti gli israeliani sono guerrafondai. Israele è una democrazia. La sicurezza è una delle priorità, ed è questa la cosa che spinge la maggioranza della popolazione a prendere una posizione. Sicuramente “sterminare” la popolazione palestinese non è uno degli scopi di Israele, anche se qualcuno cerca di farcelo credere.
– Ho capito che cercare di spingere al dialogo è legittimo e giusto, ma che bisognerebbe ricordarsi del dialogo anche in tempo di tranquillità.
– Ho capito che mostrare empatia per la situazione difficile a Gaza non ti rende anti israeliano o pro Hamas perché anche le vittime a Gaza fanno male.
– Ho capito che un popolo deve poter essere unito anche avendo idee diverse.
– Ho capito che non è vero che tutti i palestinesi vogliono la guerra.
– Ho capito che non è vero che per essere filo-palestinese bisogna sostenere Hamas. Chi sostiene Hamas non fa altro che danneggiare il popolo palestinese stesso.
– Ho capito che dividere in due parti il conflitto vuol dire non averlo capito.
– Ho capito che diplomazia e politica possono essere la soluzione di questo conflitto, ma che diplomazia e politica sono uno dei problemi di questo conflitto.
– Ho capito che non ci sarà il cessate il fuoco definitivo fino a che tutte le parti in causa abbiano deciso di accettarlo veramente. E che non ci sarà fino a che tutte le parti in causa non avranno la volontà di finirla. Ho capito quindi che il benessere dei palestinesi è anche una necessità per la sicurezza di Israele, oltre che un diritto.
– Ho capito che è triste sapere che siamo stati costretti a vivere giorni di guerra, ancora una volta, perché la guerra è una sconfitta del dialogo ed una passo estremo anche se ritenuto necessario, qualsiasi sia la propria posizione politica.
– Ho capito che come Israeliani dobbiamo capire che i palestinesi resteranno qui, e che la questione va quindi vista a lungo termine.
– Ho capito che tutti i palestinesi devono capire che noi resteremo qui.
– Ho capito che la maggioranza delle persone in questo pezzo di terra vuole la pace ma che ognuno ha la sua strada per raggiungerla. C’è uno spot in tv realizzato da un associazione che racchiude vittime di entrambe le parti, con uno slogan che recita: “non vi vogliamo qui”. Non vogliamo vedere la lista di vittime ampliarsi.
– Ho capito che non c’è stato un attimo in cui ho pensato di non tornare. Perché malgrado momenti difficili come questo ed i forti contrasti, vivere qui è stata la mia scelta.
Daniele Di Nepi
twitter: @danieledinepi
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.