Intervista a Noemi Di Segni: “Israele non ricorda soltanto i morti, ma ha a cuore anche i vivi”

Noemi Di Segni

di David Fiorentini

 

Mentre Israele procede spedito nella campagna vaccinale, con un ritmo incessante di 150.000 dosi giornaliere, “il Ministero della Salute prevede di raggiungere quota 5 milioni di cittadini per la fine di Marzo”, ha dichiarato il Direttore della campagna nazionale di vaccinazione Dr. Orly Greenfeld. Un obiettivo impressionante che ha destato l’interesse di vari Paesi europei che, come nel caso della Repubblica Ceca, hanno già fatto richiesta di supporto logistico allo Stato Ebraico. Tuttavia, non sarà solo tramite la cooperazione intergovernativa che il know-how israeliano sarà coinvolto nella campagna di vaccinazione internazionale. Il Ministro della Diaspora Omer Yankelevitch, infatti, ha annunciato l’inizio di un’ulteriore missione: vaccinare tutti i sopravvissuti all’Olocausto nel Mondo. “Assicurarsi che nessuno cammini da solo è un obbligo morale che ogni ebreo porta nel cuore”, ha affermato il Ministro al quotidiano Israel Hayom. “In tempo di crisi, di fronte al coronavirus, abbiamo il privilegio di ripagare, seppur in minima parte, coloro, che sopravvissuti all’inferno dell’oppressione nazista, sono riusciti a proteggere le fondamenta dell’ebraismo”. Per l’occasione, sono stati istruiti gli Shalom Corps, un’organizzazione composta da una rete globale di migliaia di volontari, affiliata al Ministero della Diaspora. L’operazione, inoltre, in accordo con Pfizer e Moderna, non intaccherà le quote di vaccini allocate allo Stato Ebraico, ma potrà contare su una fornitura straordinaria. Un’iniziativa lodevole, che ha già riscosso il plauso del Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni.

Presidente, cosa ci può dire a proposito di questo sforzo internazionale?

È una bellissima idea prendersi cura delle persone con cui persiste un rapporto straordinario con la storia del popolo ebraico. In questo Israele si fa custode della Storia e della Memoria: non ricordano soltanto i morti, ma avendo a cuore anche i vivi, ai quali si elargisce un’attenzione speciale attraverso il tema del vaccino. Secondo me c’è dietro proprio questo pensiero, che Israele abbia una speciale missione di custodia, per cui ogni sopravvissuto rappresenta una fiammella ancora vivente, da salvaguardare a ogni costo, perché ogni sua parola, ogni momento di vita, ogni respiro è un bene di tutto il popolo di Israele. D’altro canto, se sul piano spirituale e morale questa iniziativa è più che condivisibile, c’è da fare i conti con un complesso aspetto logistico. In Italia, l’organizzazione, che si inserisce nel raccordo tra norme sanitarie di diversi Stati, sarebbe così complicata che, per così poche persone (11), forse vale la pena aspettare qualche giorno, affidandosi al Sistema Sanitario Nazionale, visto che, come anziani, hanno già una priorità. Non fraintendiamo, fosse anche per una sola dose, Israele attraverserebbe il deserto e l’oceano, pur di farla arrivare a chi ne ha bisogno, ma per fortuna qui in Italia non c’è questo problema. Per cui, bisogna fare il distinguo tra l’idea, che ha certo una sua forte consistenza morale, rispetto poi alla reale utilità logistico-sanitaria.

In quest’ottica, verrebbe da discutere se a questo punto Israele debba assumersi il compito di vaccinare tutte le comunità ebraiche della Diaspora. Pensa che Israele abbia il dovere morale di estendere le sue risorse anche oltre i propri confini?

In ragione del particolare legame con Israele, e specialmente del compito che il Ministero della Diaspora si pone, si potrebbe prendere in considerazione di vaccinare tutte le comunità ebraiche del Mondo. Ovviamente, allora è un discorso diverso: presuppone un’altra logistica e un’altra organizzazione. Inoltre, implica una cosa delicatissima: l’affermazione un legame anche di tipo sanitario tra tutti gli ebrei, potenzialmente cittadini israeliani, e lo Stato Ebraico. “Visto che per il futuro del Paese, la salute degli ebrei è fondamentale, noi ci attiviamo per portare il vaccino ovunque”. Personalmente non sarei d’accordo, perché distinguere gli ebrei da non ebrei fa diventare privilegiati alcuni rispetto ad altri. Per di più, è anche una questione di rispetto verso le autorità. È vero che l’Italia non sta come Israele, però non penso sia il caso di creare una situazione in cui si presuma che l’Italia non sia in grado di prendersi cura dei propri cittadini di fede ebraica.

Se non vogliamo limitarci solo agli ebrei, perché non provare ad aiutare l’intero Stato? Vede delle possibilità di collaborazione tra Italia e Israele nella lotta al coronavirus?

Israele può essere di aiuto, ma il vero tema non è la sapienza scientifica, bensì tre fattori difficilmente esportabili. In primo luogo, Israele decide da solo, prende e compra, l’Italia no. Nel bene o nel male, l’Italia è legata a uno schema di finanziamento europeo che inevitabilmente comporta tempistiche più lunghe. Dopodiché, Israele è stata facilitata perché ha un numero di cittadini piccolo, 9 milioni compresi gli arabi, che ovviamente sono stati invitati a essere vaccinati. Infine, Israele ha un sistema di cassa mutua che in Italia non esiste, e permette un vantaggio in termini logistici che forse nessun Paese ha. Con le mutue della Cupat Holim, tutti gli abitanti sono approfonditamente censiti e facilmente raggiungibili. In un minuto gli operatori sanitari possono mandare un messaggio ai pazienti invitandoli a vaccinarsi. Invece in Italia, non essendoci questo approccio, manca un presidio così capillare del territorio. In Israele ogni quartiere ha il suo palazzo di servizi di mutua, organizzato e vicino alle persone. Non è solo questione di collaborazione, non c’è un know-how specifico che Israele può esportare, qui si tratta di riformare l’intero modello di organizzazione del Sistema Sanitario Nazionale.

 


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