Intervista a Magdi Cristiano Allam: “Israele rappresenta la sacralità della vita”
di David Zebuloni
La storia di Magdi Allam è la storia di una civiltà che muta nel tempo. Nato al Cairo negli anni ’50, Magdi diventa testimone di un Egitto sempre più radicale e sempre meno liberale. Trova dunque in Italia una seconda patria, un luogo in cui riscattare le proprie sorti, un terreno fertile sul quale ricostruire la propria vita. Con la conversione al Cattolicesimo, Magdi Allam diventa Magdi Cristiano Allam e la sua battaglia all’Islam più radicale diventa una missione di vita. Giornalista, scrittore e politico, Magdi ha spesso fatto parlare di sé, diventando per molti un simbolo di speranza e per altri un simbolo di intolleranza. Controverso e discusso, osannato e acclamato, Magdi Cristiano Allam racchiude in sé due mondi che sembrano essere incompatibili. Ricorda la sua Egitto perduta con nostalgia, ma si definisce italiano al cento per cento. A proposito di Israele afferma che essa rappresenta per lui la sacralità della vita, il valore fondante della nostra umanità. Poi aggiunge che lui è e sarà sempre un combattente per il diritto di Israele ad esistere. Quando gli domando invece a chi vorrebbe passare il testimone, Magdi risponde: “Io ho 68 anni e mi considero un giovanotto, voglio continuare la mia missione”.
Signor Allam, qual è il significato profondo del nome Cristiano aggiunto al già esistente Magdi?
La mia è stata una scelta ben precisa, con la quale ho voluto evidenziare la mia adesione al cristianesimo, dopo aver ripudiato l’Islam e aver abbracciato convintamente la religione cristiana. La mia educazione è stata un’educazione cristiana. Ho vissuto e studiato nelle scuole italiane cattoliche al Cairo, la mia città natale, e ho avuto modo di conoscere e di apprezzare sin da bambino la realtà di persone che si prodigano per il bene altrui, a prescindere dal fatto che fossimo egiziani o italiani, musulmani o cristiani. All’epoca c’era ancora qualche ebreo in Egitto. Pensa che io avevo una fidanzatina ebrea, ma lo scoprii solo dopo essere stato arrestato dai servizi segreti egiziani, durante la Guerra dei sei giorni del ’67. Solo dopo un pesante interrogatorio capii che lei era ebrea e fu un trauma per me perché in quel momento mi resi conto che era finito l’Egitto cosmopolita dove la pluralità era considerata un fattore di ricchezza. Ecco, quando decisi di convertirmi al cristianesimo e mi fu chiesto di aggiungere un nome cristiano a quello già esistente, aggiunsi quel nome che fa sì che non possa esserci alcun dubbio sulla mia scelta.
Il suo abbraccio al cristianesimo si è espanso in un abbraccio all’Italia, a tal punto che nel 2009 ha fondato un movimento politico e ha deciso di chiamarlo proprio “Io amo l’Italia”.
Diciamo che il mio amore per l’Italia precede la mia adesione al cristianesimo. Io arrivai in Italia nel 1972 e individuai in essa una seconda patria, ma la prima patria per quanto riguardava la libertà. La libertà che in Egitto non esisteva più. Ecco perché io amo l’Italia. Il mio è il messaggio di chi ha fatto una scelta di vita e di chi ritiene che la cittadinanza debba fondarsi su un atto di amore esclusivo. Quando nel 2012, in seno al governo presieduto da Enrico Letta, fu nominata Ministro dell’Integrazione la Cécile Kyenge del Partito Democratico, io la criticai severamente perché nella sua prima conferenza stampa lei disse che non poteva definirsi al cento per cento italiana in quanto vivevano in lei due anime: una congolese e una italiana. Ecco, io la criticai perché un Ministro della Repubblica che giura fedeltà all’Italia sulla costituzione, deve identificarsi in essa al cento per cento. Non può avere un piede in Congo e un piede in Italia.
Ciò significa che lei è riuscito ad annullare completamente la sua identità egiziana?
Vedi, per me l’identità è diversa dalla cittadinanza. Io distinguo tra le due realtà. Prima di addormentarmi per esempio, ascolto solitamente della musica egiziana della mia epoca. Il mio è un legame affettivo con un Egitto che purtroppo non esiste più, da tutti i punti di vista. Io ho lasciato un Egitto dove splendeva il sole, oggi la coltre di smog è talmente consistente che il sole non si vede più. L’ultima volta che ci tornai fu nel 2002, quando ero giornalista del quotidiano La Repubblica, e rimasi sconvolto nel vedere quel cambiamento così radicale. Ecco, oggi io mi identifico e mi sento cittadino italiano al cento per cento.
Prova nostalgia per quell’Egitto che ha lasciato e che non esiste più?
Sì, per quell’Egitto provo nostalgia. Sicuramente. Ed è un Egitto che io rivivo ascoltando la musica di un tempo, talvolta guardando i vecchi film. Quell’Egitto è dentro di me, ma le persone nel corso della loro vita devono fare delle scelte.
Tornando all’Italia, è preoccupato per il paese che lei tanto ama?
Totalmente.
Cosa la preoccupa maggiormente?
Innanzitutto io ritengo che questa non sia più una democrazia sostanziale. Ritengo che questa sia una dittatura sostanziale. Una dittatura che oggi ha assunto le vesti di una dittatura sanitaria, dove si è utilizzata un’emergenza ospedaliera per introdurre uno Stato di emergenza con una semplice delibera che fa riferimento all’ordinamento della protezione civile. Questa dittatura sanitaria si è aggiunta a una dittatura finanziaria che era stata avviata con l’avvento al potere di Mario Monti, che ha rappresentato la grande finanza speculativa globalizzata. Cosa diversa dalla finanza regolamentata, in quanto si sostanzia di titoli derivati, ovvero di una moneta virtuale frutto della speculazione di denaro su denaro, che rappresenta un vero e proprio tumore all’interno della realtà finanziaria. Ecco, io sono estremamente preoccupato perché l’Italia ha perso del tutto la propria sovranità sul piano monetario, sul piano legislativo, sul piano della difesa. L’Italia è il paese europeo con il più basso tasso di natalità, c’è un tracollo demografico spaventoso che fa sì che la popolazione italiana sia a rischio di estinzione. Inoltre la popolazione italiana è la più anziana al mondo, dopo il Giappone, e questo insieme di fattori mi fa ritenere che oggi ci serva un miracolo per poterci riscattare.
E in questo quadro apocalittico riesce a riconoscere dei punti di luce?
Non è un quadro apocalittico, è una rappresentazione corretta della realtà, perché io mi baso su dei fatti. Quando dico che la massa dei titoli derivati è pari al 33% del PIL mondiale, questo è un fatto. Quando dico che c’è un tracollo demografico che mette a rischio la continuità della popolazione italiana, questo è un fatto.
Siamo dunque nel buio più totale?
Manca una cultura e una classe politica che abbiano veramente a cuore la sorte dell’Italia e il bene degli italiani, ma al tempo stesso sono fiducioso sul fatto che la maggioranza degli italiani, pur essendo disorientati e tendenzialmente rassegnati, vogliano un cambiamento. Sono alla disperata e continua ricerca di un salvatore della patria. Lo è stato Berlusconi, lo è stato Monti, poi è stata la volta di Renzi, Grillo e Salvini. Ora, secondo i sondaggi, Giuseppe Conte viene visto dal 40% degli italiani come il nuovo salvatore della patria. Io ritengo che la fiducia e la speranza, HaTikwa, la speranza, possano esserci solo se ciascun italiano si rimboccherà le maniche, ci metterà la faccia, avvierà un percorso di formazione culturale che consenta di conoscere correttamente ciò che sta accadendo. Io mi sto muovendo in questa direzione, sto dando vita ad un movimento che avevo concepito nel 2014 dopo aver finito il mandato di parlamentare europeo. Un movimento che io all’epoca denominai “Insieme ce la faremo”. Oggi è diventato uno slogan che viene ripetuto da tanti, ma io ne rivendico la paternità.
Un po’ profetico direi.
Ero convinto già dall’allora che siamo tutti sulla stessa barca.
Ciò significa che non esclude un ritorno in politica?
Io sono impegnato in politica, ma non sono interessato né a fondare un nuovo partito, che ce ne sono fin troppi, né a aderire ad altri partiti. Questo non mi interessa, perché mi rendo conto che i partiti perseguono altre logiche. I partiti sono alla caccia del voto, il voto lo si ottiene attraverso il consenso e se tu vuoi un consenso ampio, la tua proposta deve essere il più possibile diluita. I partiti hanno come riferimento il Dio sondaggio e a seconda di esso i partiti virano un po’ al centro, un po’ a destra e un po’ a sinistra. Io voglio un qualcosa che corrisponda alla retta via. E aggiungo che bisogna fare in fretta, perché non è rimasto molto tempo.
La sua frase profetica mi riporta ad un’altra profetessa, la sua amica Oriana Fallaci. Io sono un appassionato della Fallaci e devo confessarle che l’idea che lei l’abbia conosciuta personalmente mi ingelosisce un po’. Ecco, la Fallaci le scrisse: “Sei l’unico su cui dall’alto dei cieli, o meglio dai gironi dell’inferno, potrò contare. Bada che t’infliggo una grossa responsabilità”. Di che responsabilità parla Oriana?
Intanto vorrei ricordare che Oriana è stata una grande amica di Israele, aveva Israele nel cuore. Individuava in Israele il simbolo della libertà, in un contesto dove la libertà non esiste. Oriana Fallaci è stata la prima in assoluto che ha avuto l’onestà intellettuale e il coraggio umano di dire la verità. Io sono arrivato dopo di lei e intendo continuare a dire la verità in libertà. L’eredità è quella di portare avanti una missione che oggi è più difficile rispetto al 2006, quando Oriana ci lasciò. Purtroppo la situazione è deteriorata rispetto all’epoca.
Riconosce qualcuno che abbia le stesse qualità che la Fallaci vide in lei? Qualcuno a cui passare il testimone e infliggere la stessa responsabilità?
Beh, io ho 68 anni e mi considero un giovanotto.
Lo è, assolutamente. Non insinuavo il contrario.
Ecco, diciamo che voglio continuare a promuovere questa missione. Una missione che voglio sicuramente condividere con tutti coloro i quali convergono su delle idee, su dei valori e sulla prospettiva. Quando Oriana scrisse quella frase, erano ormai gli ultimi anni della sua vita. Io ringraziando il Signore sto bene. Mi auguro che, più che un testimone, possano essercene tantissimi di testimoni, perché abbiamo veramente bisogno di tantissimi italiani che possano essere protagonisti delle scelte che si traducano nel bene dell’Italia.
Signor Allam, tutti si prodigano per risolvere la questione israelo-palestinese. Lei crede che esista davvero una soluzione al conflitto?
Si potrà ottenere la pace solo dopo aver eliminato il terrorismo palestinese. Fino a quando ci sarà un pensiero dominante che nega il diritto di Israele all’esistenza come Stato del popolo ebraico, non potrà esserci pace. Fin quando ci sarà una realtà di terrorismo che ricorre alla violenza per provocare stragi e per annientare lo Stato d’Israele, non potrà esserci pace. Potrà esserci solo tregua.
“Viva Israele”, cita il titolo di un suo libro. Un manifesto di solidarietà allo Stato di Israele e al popolo ebraico. Come nasce questa amicizia?
Il mio sentimento nasce da una riflessione su quella che è la sacralità della vita, che è il valore fondante della nostra umanità. Perché o si crede nella sacralità della vita, o non si è umani. Si è e ci si comporta come chi non ama sé stesso e non ama il prossimo. Come chi è pronto a uccidere in qualsiasi momento ed è pronto a farsi uccidere in qualsiasi momento. Con il tempo ho maturato la convinzione che Israele rappresenta sulla scena internazionale l’incarnazione della sacralità della vita. Israele rappresenta anche l’unico caso al mondo in cui non si riconosce il diritto di uno Stato di scegliersi la propria capitale, ed è un diritto che ha delle radici storiche, perché duemila anni fa Gerusalemme era la capitale del Regno di Israele, mentre non è mai esistito uno Stato palestinese nella storia, ma gli islamici considerano comunque Gerusalemme come il terzo luogo sacro dell’Islam. La ragione di ciò è che nel 621 Maometto raccontò di aver compiuto un viaggio in sella ad un cavallo alato, accompagnato dall’Arcangelo Gabriele. Secondo il racconto questo cavallo alato si posò nella Moschea Remota, che in arabo di dice Masjid Al-Aqsa. Qual è il fatto che storicamente non torna? Ecco, nel 621 non esisteva alcuna moschea a Gerusalemme. L’inizio dei lavori della Moschea di Al-Aqsa risale al 680, quando Maometto era già morto.
Esiste dunque un’incongruenza storica.
Totalmente, si tratta di un’attribuzione infondata, perché nel 621 non esisteva alcuna Moschea a Gerusalemme. Ciò nonostante gli islamici continuano a sostenere che Maometto di recò nella Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme e di conseguenza continuano a ritenere che Gerusalemme sia il terzo luogo sacro dell’Islam, nonostante sia assolutamente infondato. Io sono e sarò sempre un combattente per il diritto di Israele ad esistere e sono sempre più convinto che o si riconosce il diritto di Israele ad esistere come Stato del popolo ebraico, o verrà a meno il diritto ad esistere anche per tutti gli altri.
Il prezzo da pagare per queste sue affermazioni è stato molto alto. Per anni infatti ha dovuto vivere sotto scorta.
La scorta in realtà mi fu attribuita per una segnalazione avuta dai servizi segreti italiani di una mia condanna a morte da parte di Hamas, i terroristi islamici palestinesi, perché io criticavo i loro attentati terroristi suicidi e difendevo i civili israeliani. Era il 2003 e all’epoca ero ancora musulmano.
Ha avuto paura?
Guarda, io nel 2005 ho scritto un libro dal titolo “Vincere la paura”. La paura è l’arma su cui investono i terroristi islamici per sconfiggerci senza combattere, perché quando uno interiorizza la paura finisce per rassegnarsi alla sconfitta, subisce senza reagire. Quindi io non ho paura.
L’Islam radicale esiste ancora Signor Allam, ma la sua battaglia ideologica personale, pensa di averla vinta?
Io mi sento soddisfatto per aver sempre operato coerentemente con le mie scelte interiori. Di questo sì, sono soddisfatto. Ma non posso essere soddisfatto della realtà oggettiva. Mi rendo conto che siamo ad un bivio epocale e ci vuole un’azione culturale che fortifichi dentro ciascuno di noi. Ci vuole una mobilitazione civile che consenta di ridare fiducia alla popolazione. Io sono consapevole che ci vorrà un miracolo, l’ho detto prima, ma sono anche fiducioso che questo miracolo potrà realizzarsi.
L’Unione Giovani Ebrei d’Italia (UGEI) è un’organizzazione ebraica italiana. Essa rappresenta tutti gli ebrei italiani di età compresa tra i 18 e i 35 anni. L’organo ufficiale di stampa UGEI è HaTikwa: un giornale aperto al confronto di idee.